La Casa Rosada, sede della Presidenza della Repubblica, a Buenos Aires
Il fallimento non è una novità per l’Argentina, ma una variabile costante della sua travagliata storia economica. Ogni default porta già in sé i germi del successivo, in un circolo vizioso che non si è mai riusciti a spezzare (il debito pubblico argentino è di quasi 200 miliardi di dollari, circa il 90% del prodotto interno lordo). L’Argentina è ricca di risorse naturali, con un’agricoltura e un’industria fiorente, una popolazione culturalmente e socialmente avanzata, ma è vittima di un destino quasi irreversibile per quel che riguarda la sua valuta e il suo debito.
Si cominciò subito male, nel 1824, ad appena otto anni dalla dichiarazione d’indipendenza dalla Spagna, quando l’amministrazione chie- se un prestito da un milione di sterline alla banca Baring di Londra per finanziare il porto destinato a sostenere le esportazioni di prodotti agricoli: quel prestito non fu mai restituito e rappresentò il primo di una lunga serie di crisi: qualcosa come otto default totali e altri sei parziali (quando cioè viene restituita solo una parte del debito). Un lungo elenco che adesso sembra allungarsi ancora. Nel 1890 fu bloccata la restituzione dei debiti accesi per finanziare lo sviluppo immobiliare di Buenos Aires, fra palazzi eleganti e grandi viali alberati. Ci furono poi tanti altri passi falsi. Nel 1951 la crisi fu innescata dalla fine del boom economico per le Guerre mondiali e dalla necessità di forniture alimentari, nel 1956 dalla fine dell’era Peron. Una delle crisi più consistenti fu legata alla sospensione dei pagamenti internazionali dopo la sconfitta nelle isole Falkland nel maggio 1982, sette anni dopo ci fu un altro default legato ad una serie di falliti tentativi di ristrutturazione economica con Menem al potere.
All’inizio del nuovo millennio il più grave dei fallimenti, il crac del 2002 dovuto a un mix di eccessive spese statali e alla decisione, rivelatasi sbagliata, di agganciare la moneta locale, il peso, al dollaro. L’economia ebbe un crollo: un’operazione pensata per contenere l’inflazione ha avuto esattamente l’effetto opposto. Il default del 2002 è stato l’avvio della tormentata vicenda dei “Tango bonds” (i titoli di Stato ad alto rendimento, visto l’alto rischio di fallimento del paese), sottoscritti in maniera massiccia anche dagli investitori italiani, che si è risolta solo nel 2016 con gli accordi di compromesso, ed ha rappresentato il simbolo della riammissione del Paese nella comunità finanziaria internazionale. L’episodio più recente, nel 2014 nella guerra con i vulture fund americani, che chiedevano il pagamento completo del debito 2001: l’amministrazione Fernandez compie un default, anche se minore e su una sola scadenza.