sabato 26 marzo 2016
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Dietro la lavagna, ultimi, anche laddove fino a qualche decennio fa eravamo fra i primi. Un Paese che invecchia, che chiude le porte ai giovani, e meno male che ci sono le famiglie e i nonni, a tenere in piedi una sorta di welfare parallelo. Un’analisi cruda che Antonio Galdo fa nel suo ultimo libro, per Einaudi – dal titolo proprio Ultimi – non priva però di elementi in contro-tendenza. Non si tratta di essere gufi, parlano i dati. In 4 anni i minori in condizione di povertà assoluta sono raddoppiati, da 723mila a circa un milione e mezzo. «La povertà – nota Galdo – è entrata nelle nostre case dalla porta principale, l’infanzia». E intanto cresce un fenomeno «tipicamente italiano», gli oltre 3 milioni di giovani fra i 16 e i 30 anni «che vivono sospesi a carico delle loro famiglie». I Neet ( Not in education Employment or Training) emblema di una ricchezza che fu, che si va depauperando. E mentre il sostegno alle famiglie si è progressivamente ridotto (oggi è il 5% del pil) il 68% dei giovani fra i 18 e i 34 anni vive ancora con i genitori (record europeo, in Danimarca sono l’1,8 in Francia l’11,5) usufruendo di 'paghette' fra le più sostanziose d’Europa, 832 euro (al netto di vitto e alloggio) ben oltre i 600 di media dei tedeschi, i 380 degli inglesi e i 240 dei francesi. Italia ultima, soprattutto negli standard di meritocrazia. A partire dalle istituzioni chiamate a invertire la rotta: la scuola, fra le più costose, eppure con gli insegnanti peggio pagati d’Europa e un sistema universitario che vede l’Italia unico Paese sviluppato assente nella recente classifica stilata dal-l’istituto d’istruzione superiore di Shanghai dei 150 migliori atenei mondiali. Per non dire della classifica della competitività che ci vede precipitare al 49° posto, zavorrati dal record mondiale delle crisi di governo e dai costi di burocrazia, tasse ed evasione. In Italia c’è il 30% dell’evasione complessiva dell’imposta sul lavoro autonomo d’Europa. E anche il dato che vede le famiglie italiane, in piena crisi, aumentare il valore del loro patrimonio a quasi 4mila miliardi (9.600 includendo gli immobili) è solo spia ulteriore di un’assenza di speranza, visto che solo il 10% di queste somme va a finanziare l’economia reale di un Paese che è ancora il quinto al mondo nel manifatturiero. Sempre meno brevetti, Mezzogiorno che va sempre peggio, primato perso anche nel turismo e soprattutto siamo il Paese più corrotto dell’Eurozona, superati da economie fragilissime come Ghana e Ruanda. E ciò rende non autorevole una politica che avrebbe il compito di riaccendere il motore. Ma anche uno dei settori più compromessi da fenomeni di spreco e malaffare, la sanità, offre un quadro in chiaroscuro che contiene in sé la strada per ripartire. In vetrina il caso del Policlinico Sant’Orsola di Bologna, opera nata dalla carità all’epoca della grandi pestilenze, diventato oggi un polo di eccellenza e laboratorio di spending reviewe meritocrazia in grado di re-distribuire fra i dipendenti parte del miliardo risparmiato con una gestione accorta. La strada è questa: recuperare il senso dell’onestà e del bene comune come valori individuali e collettivi, convenienti oltre che giusti. Come una volta. Quando l’Italia, dopo aver toccato il fondo, fu in grado in 8 anni di costruire l’Autostrada del Sole, «e al segretario generale della Cgil Giuseppe Di Vittorio – ricorda Galdo – non mancò il coraggio, sotto falso nome, di incontrare i vertici dell’Iri e dei 'padroni' per dare il via libera all’opera che avrebbe segnato un’epoca e favorito prospettive di lavoro e benessere. Per tutti». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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