venerdì 20 luglio 2012
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​I mercati di solito sferrano i loro attacchi in agosto. Si attende il responso dei mercati. I mercati bocciano Moody’s. E via di questo passo, da oltre un anno, la prima domanda che il giornale del mattino induce in compagnia del caffè è troppo spesso: "Cosa diranno oggi i mercati?" Che il loro parere, simile a una spada di Damocle, condizioni oramai le scelte sempre più obbligate della politica è un’evidenza difficile da confutare. Ben più complicato, invece, andarli a trovare, questi mercati. Scovarne l’indirizzo, rintracciare i loro spostamenti, e soprattutto, identificarli. "Chi sono", dunque, i mercati? Hanno un nome e un cognome oppure assomigliano semplicemente a mani invisibili che tirano i fili sopra un palcoscenico per burattini?Può essere interessante, per abbozzare una risposta, fare un salto all’indietro e tornare al 6 maggio del 2010. Un giorno complicato, manco a dirlo, per i mercati, alle prese con la crisi del debito in Grecia. Non dissimile però da quelli che l’hanno preceduto a partire dal settembre 2008, quando il fallimento del colosso bancario Lehman Brothers prenotò sui manuali di storia economica il capitolo dedicato all’origine della grande crisi tuttora in corso. Ma all’avio delle contrattazioni, quel giorno, sulla piazza newyorkese succede qualche cosa di strano: alle 14:42 (ora italiana) gli indici Dow Jones, S&P500 e Nasdaq iniziano vorticosamente - e inspiegabilmente - a perdere punti, con un salto nel buio che in pochi minuti sfiora il 10%. Il panico si propaga istantaneamente in mezzo mondo e alla fine le perdite sulle Borse saranno ingenti, anche se lontane dalla doppia cifra. Il crollo di Wall Street - si scoprirà qualche mese dopo, grazie a un’indagine delle autorità americane - fu provocato da un trader che, in appena venti minuti, trattò contratti future (strumenti derivati che moltiplicano la potenza degli ordini e quindi i guadagni o le perdite potenziali) per 4,1 miliardi di dollari. È stato quindi un singolo ordine a innescare il cosiddetto "flash crac" di Wall Street. Un solo colpo di mouse ha mandato al tappeto la finanza mondiale. Com’è stato possibile?Algotrading. L’ultima frontiera della turbo-finanza di cui, proprio negli ultimissimi anni, abbiamo imparato a conoscere i primi assaggi. Non il trader, ma un algoritmo - dal nome del matematico, astronomo, astrologo e geografo persiano Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi - applicato alla compravendita dei titoli (trading) è riuscito a vendere 75.000 contratti a termine sull’indice S&P 500 in venti minuti scatenando due crisi di liquidità: una sul mercato dei contratti chiamati "E-Mini", l’altra sulle Borse. Disumano. O meglio: non umano. E indicativo di una terza, inquietante, caratteristica dell’attuale tecnostruttura finanziaria e dei relativi, possibili effetti collaterali: oltre che di un racconto e di una ricetta, la Grande Crisi che stiamo attraversando rischia di rimanere orfana anche dell’uomo. Perché in balia dalle macchine.Nella fase pionieristica dei software anni Ottanta si parlava semplicemente di "program trading", programmi informatici per studiare strategie d’investimento in un sistema degli scambi presidiato ancora dai mercati "alle grida". La progressiva scomparsa degli uomini dalle Borse ha lasciato spazio ai computer. La potenza di calcolo, per di più, ha subito un’accelerazione esponenziale. Oggi a dominare è l’"high frequency trading", il trading ad alta frequenza, utilizzato soprattutto dagli hedge funds, i grandi fondi speculativi. A differenza dei loro antenati, questi programmi non hanno bisogno dell’uomo: si muovono da soli. Auscultando segnali impalpabili all’orecchio umano provenienti dal sistema nervoso digitale globale, Facebook e Twitter inclusi, fanno partire migliaia di ordini d’acquisto e vendita al minuto. In alcuni casi la "raffica" dura un istante e nessuno se ne accorge. Gli ordini ad alta frequenza viaggiano ad una velocità di 0,03 millesimi di secondo, contro lo 0,1 dei mercati tradizionali. Ma a essere movimentati sono miliardi. Un terzo degli scambi sulle principali borse mondiali è opera di questi "robot". I dati raccolti da Tabb Group parlano di un 56% del valore dell’azionario Usa, di un 40% nelle Borse europee e fino a un 30% in Asia.L’infrastruttura che diventa struttura. Un’indagine fenomenologica dei mercati rivela un dominio della tecnica come neanche Martin Heidegger se l’immaginava. Dietro all’ordine di vendita o acquisto non c’è la valutazione di un analista (umano) sull’andamento di un’azienda, un Paese, un settore, ma un’intelligenza artificiale. Che condiziona l’andamento dei titoli, intercettando in anticipo sulla capacità percettiva umana gli scostamenti dei prezzi. Le vittime sono i comuni risparmiatori, quelli che affidano il denaro a società di gestione e banche basate sulle capacità degli uomini, schiacciate da una simile asimmetria informativa e operativa. Le vittime sono i comuni mortali. I regolatori stanno cercando di correre ai ripari. Alzando barriere, imponendo sanzioni. Ma è quasi una guerra uomo-macchina che evoca gli scenari apocalittici del film <+corsivo>Terminator <+tondo>in cui il sistema Skynet antesignano di Internet provocava il Terzo conflitto mondiale. O la guerra di resistenza dell’umanità sopravvissuta all’intelligenza artificiale contro la "matrice" raccontata dai fratelli Andy e Larry Wachowski nella saga Matrix. In quest’epopea fantascientifica, gli uomini del protagonista Neo imbarcati sulla Nabucodonosor di Morpheus combattono in fondo un "riduzionismo antropologico" all’ennesima potenza.
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