martedì 3 maggio 2016
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BRUXELLES Un pesante pressing per imporre il via libera all’esportazione in Europa di prodotti alimentari made in Usa, anche con ormoni e ogm. La partita sul mega accordo commerciale transatlantico, il Ttip, è ancora più dura di quanto si pensasse, soprattutto sul fronte americano. Un quadro che emerge da carte riservate sulle posizioni negoziali, rivelate ieri da Greenpeace, 248 pagine divise in tredici capitoli. Una rivelazione giunta mentre si è appena conclusa, la scorsa settimana, la tredicesima tornata negoziale. A luglio dovrebbe esserci la quattordicesima, nella speranza di Bruxelles e Washington di arrivare al rush finale in autunno, subito prima della fine del mandato di Barack Obama. Le posizioni, ha ammesso ieri il capo negoziatore Ue Ignacio Garcia Bercero, restano lontane su molti aspetti: dalla possibilità per gli europei di partecipare alle gare d’appalto pubbliche negli Usa, alla questione delle denominazioni d’origine controllata (che ad esempio impedirebbero il 'Parmesan' made in Usa), alla carne di manzo (per il no europeo agli ormoni). Nella documentazione rivelata ieri compare anche il no Usa alla tutela di denominazioni semigeneriche come Chianti o Marsala: gli ameri- cani vogliono potere produrre questi vini anche da loro. Soprattutto, Washington è decisa a forzare l’apertura del mercato europeo ai prodotti alimentari made in Usa incluso quelli che chiama «nuovi prodotti agricoli», un’allusione, pare, all’utilizzo di ogm e ormoni. Gli Usa, si legge nelle carte, «si sono affrettati (...) a sottolineare che progressi sul fronte dei veicoli a motore saranno possibili solo se vi saranno progressi sul fronte delle barriere agricole». Washington colpisce così la più importante industria europea interessata al Ttip, appunto quella dell’auto. Secondo stime della Commissione, senza le barriere soprattutto non tariffarie (come i diversi requisiti sicurezza), le esportazioni di veicoli Ue negli Usa potrebbero balzare del 150%. Senza le agevolazioni per le auto europee, il Ttip sarebbe sbilanciato: gli europei concederebbero l’eliminazione di barriere per il 92% del valore delle esportazioni Usa verso l’Ue, contro il 78% nell’altro senso. A preoccupare, sottolinea Federica Ferrario di Greenpeace, è che non viene mai citato il principio di precauzione (in Europa, nel dubbio di possibili danni, un prodotto non viene commercializzato). E il documento ammette che gli Usa insistono che ogni divieto sia basato su «prove scientifiche» (in America si può vietare solo se è provata scientificamente la dannosità). Ieri però il commissario europeo al Commercio Cecilia Malmström ha parlato di «tempesta in un bicchier d’acqua», assicurando che il principio di precauzione è parte dell’acquis comunitario (l’insieme di norme Ue) e non si tocca. A preoccupare è però anche altro. Ad esempio Ue e Usa concordano sulla necessità di creare «comitati» congiunti per scambiarsi informazioni su nuove normative in preparazione e discutere del possibile impatto prima ancora che arrivino nei parlamenti. Washington vorrebbe addirittura una sorta di diritto di veto ex ante. La protesta è destinata a montare, arrivare a un accordo, che comunque dovrà essere ratificato da 28 stati e dal Parlamento Europeo, appare sempre più arduo. © RIPRODUZIONE RISERVATA La trattativa
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