mercoledì 14 settembre 2016
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L'incontro dei Paesi euromediterranei, che ha anticipato quello dei 27 a Bratislava, potrebbe essere un segno di una nuova importante svolta nell’Unione Europea. La storia è nota. Abbiamo subito una crisi non causata da noi europei (la crisi finanziaria globale) e all’inizio ci siamo compiaciuti di aver retto meglio il colpo (meno derivati e più credito nelle nostre banche). Il dopo-crisi, però, ci ha investito in pieno. Mentre gli americani hanno immediatamente adottato le tre strategie necessarie per uscire (piano di acquisto pubblico-privato di titoli tossici, espansione monetaria col quantitative easing e politica fiscale espansiva con una robusta spinta di investimenti pubblici) noi siamo rimasti al palo. Il quantitative easing nella Ue è arrivato solo 7 anni dopo grazie alla tenacia del presidente della Bce, Mario Draghi. Il piano di acquisto di titoli tossici e di salvataggio delle banche c’è stato per alcuni Paesi sì e per altri – tra cui soprattutto noi  – no, perché a quei tempi orgogliosamente in Italia non ne avevamo bisogno mentre, successivamente, la "finestra di opportunità" si è chiusa. La politica fiscale espansiva europea la stiamo ancora aspettando nelle dimensioni richieste per uscire dalla crisi.Il nostro governo pare consapevole del fatto che ci troviamo ancora pericolosamente in mezzo al guado. Se restiamo nello stagno della crescita zero con i gravi costi sociali e occupazionali connessi, populismi e spinte centrifughe potrebbero crescere in modo decisivo in Italia e in Europa portando persino a una fine politico-elettorale dell’euro. Ed è su questo più che su un qualche referendum che si gioca il futuro della moneta unica e del processo politico di integrazione europea. Per andare oltre il guado, a nostro giudizio il "no" all’austerità dei 7 Paesi del Su deve portare ad almeno tre essenziali rilanci con l’adozione di strumenti e politiche conseguenti.Primo. Assicurazione dei depositi a livello europeo e non soffocamento delle banche locali (con un completamento della riforma Bcc che ne salvaguardi l’autonomia, quando virtuosa). Le "riforme" che l’Europa ha chiesto nel settore bancario rischiano infatti di rendere strutturalmente impossibile il credito alle piccole e medie imprese. Inutile guardare solo a quel terzo di sistema industriale virtuoso, medio grande e già internazionalizzato che non ha bisogno della spinta del governo per funzionare. È il resto del sistema industriale che ci trascina in basso, perché indebolito dalla bassa domanda interna e dalla difficoltà di accesso al credito. Non si vede perché una grande banca senza radici nel territorio, volta al massimo profitto e oppressa da requisiti patrimoniali sempre più stringenti, dovrebbe adoperarsi nella rischiosa e poco redditizia impresa di prestare a un’impresa piccola o artigiana. L’Europa non può imporre il bail-in, i requisiti patrimoniali, la riforma del sistema delle banche locali in direzione sbagliata e poi non concedere almeno l’assicurazione dei depositi a livello europeo.Secondo, la Bce deve fare il salto di qualità di finanziare un piano Juncker irrobustito e finalmente operativo. Nell’era dei tassi zero non portare a termine gli investimenti sulla banda larga e sull’efficientamento energetico sarebbe un’occasione persino drammaticamente perduta.Terzo, l’armonizzazione fiscale deve procedere, e all’importante provocazione verso il governo irlandese con il "caso Apple" (a proposito, non senza ilarità, alcuni rappresentanti della società civile si sono messi davanti al Parlamento di Dublino con il cartello «Take the tax» che chiedeva ai politici che entravano di accettare i 13 miliardi di tasse arretrate all’azienda planetaria di Cupertino) deve seguire un progetto di forchetta massima di aliquote entro le quali si devono muovere i Paesi membri per non farsi una rovinosa concorrenza al ribasso che sottrae risorse preziose per il bene comune.Il progresso dell’Europa è decisivo perché, anche se sulla questione cruciale dei tempi della giustizia civile abbiamo fatto ancora troppo poco, inutile dire che il problema dell’Europa si risolve con i compiti a casa perché i compiti a casa, pur importanti, non possono dare la spinta dal lato della domanda che servirebbe in questo momento.Se tutto questo non arriverà sarebbe meglio avviare i piani di un’Europa che, mantenendo tutto il resto del suo livello d’integrazione e dei suoi benefici, si muova a due velocità valutarie senza aspettare la prossima crisi. Giocare d’anticipo è fondamentale per restare in sella e il governo l’ha capito.
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