martedì 13 ottobre 2020
La ricercatrice dell'Istituto Nazionale dei Tumori Serena Di Cosimo: «Se il governo dovesse accogliere questa proposta finalmente si considererebbe la ricerca come un bene comune»
La ricercatrice Serena Di Cosimo

La ricercatrice Serena Di Cosimo

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Si muore di Covid-19 e l’italiano medio si chiede cosa faccia la scienza. Spesso non sa che lo Stato fa troppo poco per la ricerca pubblica: investiamo solo lo 0,5% del Pil, nove miliardi di euro, 6 alla ricerca di base e 3 a quella applicata. La Francia investe lo 0,75%, la Germania quasi l’1%. Per questo Ugo Amaldi e un gruppo di ricercatori e uomini di cultura hanno lanciato il Piano Amaldi, che punta a raggiungere l’1,1%. È stato presentato nel pamphlet 'Pandemia e Resilienza. Persona, comunità e modelli di sviluppo dopo la Covid-19', pubblicato dalla Consulta scientifica del Cortile dei Gentili. A sostenerlo, c’è anche una delle più promettenti ricercatrici dell’Istituto Nazionale dei Tumori, il medico oncologo Serena Di Cosimo, che ci spiega perché il governo Conte dovrebbe rompere gli indugi su questa iniziativa, peraltro in linea con gli obiettivi europei.

Perché il Piano Amaldi rappresenta un approccio innovativo al tema della ricerca? Partiamo da un dato di fatto. Nel nostro Paese si organizzano numerose raccolte di fondi per la ricerca, ma si tratta sempre di iniziative della società civile. Il piano Amaldi sarebbe il segnale di una rivoluzione copernicana. Se il governo dovesse accogliere questa proposta, come speriamo che sia, finalmente si considererebbe la ricerca come un bene comune: non a ca- so, la petizione è firmata da personaggi di diverse provenienze sociali e professionali, e non soltanto da ricercatori, perché si fonda sulla consapevolezza che la ricerca scientifica contribuisce effettivamente al benessere collettivo.

Questa consapevolezza manca solo in Italia? Se consideriamo gli stanziamenti pubblici sì, quanto meno per restare nell’ambito dei Paesi europei del nostro livello, come la Francia o la Germania, che assegnano una quota di Pil nettamente superiore. Siamo in ritardo, è oggettivo, ed è per questo che non chiediamo di stanziare immediatamente l’uno per cento del Pil, come fanno i tedeschi, ma di procedere gradualmente: mantenendo un incremento di 1,5 miliardi di euro al bilancio della ricerca pubblica, di base e applicata, a partire dal 2021, si raggiungerebbero investimenti pari all’1,1% del Pil nel 2026.

Non crede che il Covid-19 abbia aiutato gli italiani a cogliere l’utilità della ricerca scientifica? Non voglio essere cinica, ma oggi è più chiaro di ieri, e lo è a tutti, che disporre di risposte rapide e scientificamente fondate in certi frangenti fa la differenza tra la vita e la morte. Per disporne, occorre avere ricercatori preparati e reattivi, ma anche attrezzati. Lo stereotipo antico del genio solitario è, appunto, antico: oggi servono staff, tecnologie, intelligenza artificiale, cioè bisogna disporre di un 'macchina' pronta ad accelerare, se e quando necessario.

La ricerca italiana ha perso colpi in questi anni? Studi e risultati ottenuti con il Covid-19 dimostrano di no. Non mancano idee e progetti; semmai non siamo competitivi nel trasferimento tecnologico di ciò che scopriamo.

Come lavorano gli altri? All’estero ho sperimentato personalmente una collaborazione più stretta tra l’accademia e l’industria. In altri Paesi il trasferimento tecnologico funziona non perché i ricercatori siano più bravi, ma perché esistono percorsi collaudati, regole e risorse. Da noi, ci sono ancora troppi lacci e lacciuoli.

Cosa comporterebbe l’adozione del piano Amaldi? Una maggiore immediatezza tra il momento della speculazione scientifica e quello dell’applicazione industriale, con un netto beneficio per settori come quello biomedico o meccanico. Come abbiamo avuto modo di verificare con l’assegnazione del Nobel al CRISPR/Cas9 bisogna finanziare tutti i momenti della ricerca, compresi quelli che non sembrano avere una ricaduta concreta nell’immediato, perché lo sviluppo è quello di un domino tridimensionale. Inizi studiando i batteri e scopri l’alternativa agli Ogm.

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