sabato 24 giugno 2017
Dietro lo scontro sulla fibra la partita tra Vivendi e l'esecutivo
Tim e governo divisi dalla rete
COMMENTA E CONDIVIDI

In un paese normale quello che sta accadendo attorno a Tim non sarebbe mai successo. Il gruppo tlc guidato da Flavio Cattaneo e controllato al 25% dalla Vivendi del finanziere Vincent Bolloré, è finito infatti sotto le strali del governo che lo accusa di aver lanciato il progetto 'Cassiopea' per portare la fibra ottica in quei paesi più piccoli dov’è già presente Open Fiber, società pubblica perché controllata da Enel e Cassa Depositi e Prestiti. Che lo stato voglia fare l’industriale è legittimo, anche se un po’ anacronistico, ma che impedisca al maggiore operatore privato di telecomunicazioni di fare il suo mestiere questo suona strano. Come appare singolare che finora in tutti i bandi emanati dall’azienda pubblica Infratel per portare la banda nelle cosidette 'aree bianche' (quelle dove non c’è mercato), l’unico vincitore sia risultata proprio Open Fiber.

Il tutto non è curioso, però, se si pensa che Tim, partendo dalla rete di sua proprietà già esistente, e fermandosi con la fibra all’armadietto sul marciapiede (tecnologia Fttc-Fiber to the cabinet), arriverà con un anticipo di almeno un anno ad offrire ai suoi clienti velocità di navigazione fino a 100-200 mega; mentre Open Fiber che ha adottato come standard la formula del Fiber to the home, partendo da zero, dovrà conquistarsi 'all’ingrosso' i clienti (quelli del fisso so- no in gran parte di Tim) arrivando quindi largamente dopo il gruppo guidato da Cattaneo, pur offrendo velocità di navigazione superiori. Quindi l’attacco a Tim nasconde – e non troppo – un motivo di iniziale debolezza competitiva dello stato-imprenditore. Come se non bastasse la pressione pubblica su Tim riguarda anche un altro problema. Che ne sarà, infatti, della rete in rame di proprietà del gruppo guidato da Cattaneo, privatizzata oltre vent’anni fa assieme al gruppo tlc? È chiaro che lo stato si avvantaggerebbe enormemente nel business se mettese le mani su questa rete, rafforzando le capacità di Open Fiber.

Quanto vale il boccone? Tra i 5 e i 10 miliardi di euro. E considerato che Cattaneo ha più volte escluso la cessione della rete – a meno che lo Stato non voglia fare un esproprio – ci si chiede se il suo azionista francese non abbia comunque voluto tenersi le mani libere verso il governo proprio su questo punto avendo fatto entrare nel consiglio d’amministrazione un vecchio manager come Franco Bernabé che quand’era Ad della vecchia Telecom Italia aveva accarezzato l’ipotesi di credere la rete. Ma non solo. Perché ciò che sta accadendo attorno all’industria delle telecomunicazioni è inevitabilmente legato a quello che è già successo e succederà attorno alla partita che vede impegnato Bolloré in territorio italiano: il destino della Mediaset di Silvio Berlusconi. Lo stato ha già battuto un colpo verso i francesi quando l’Agcom, autorità che regola le tlc, ha imposto a Vivendi di sciogliere il nodo gordiano della compresenza in Tim e nel gruppo televisivo, dove Bolloré ha speso finora un miliardo per comprare il 30% circa, ma non contare nulla e ritrovarsi invischiato in una logorante guerra di posizione con tanto di contorno di inchiesta partita dalla procura di Milano. Giudici a parte, mettere i bastoni fra le ruote a Vivendi è un modo per obbligare il colosso d’oltralpe a cercare una posizione negoziale con Berlusconi, che ponga la sua Fininvest al tavolo in un posto di riguardo nel futuro gruppo italo-francese integrato tlc-media, con l’unica logica industriale se si vuole competere con Netflix o Sky, ma salvando anche le sorti della disastrata pay tv Mediaset Premium. Anche qui bastone e carota, per rafforzare in tutti i modi gli interessi economici del pubblico che coincidono con quelli di un grande imprenditore privato italiano.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: