giovedì 7 gennaio 2016
​Nei cambi di appalto gli addetti vengono riassunti. Ma il tributo si paga lo stesso.
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Oltre al danno pure la beffa. Dal 1° gennaio è scattata una sorta di 'tassa di licenziamento'. Nel cambio di appalto l’impresa uscente (anche se non lascia nessuno senza lavoro, perché i lavoratori sono interamente riassorbiti dall’impresa subentrante con la clausola sociale), dovrà comunque versare il contributo previsto dalla legge Fornero per gli ammortizzatori sociali: da 490 euro per un anno di anzianità fino a 1.470 euro per tre anni di anzianità. Il provvedimento potrebbe riguardare 2,5 milioni di lavoratori. La Fornero prevedeva la proroga al 31 dicembre 2015. Ma sia la legge di Stabilità sia il Milleproroghe non hanno risolto il problema.  Centinaia di piccole e medie imprese si troveranno così ad affrontare condizioni particolarmente complicate e difficili, per molte di esse il rischio concreto è di non farcela. L’intero settore che gravita intorno al contratto nazionale del multiservizi si troverà di fronte a quella che potrebbe rivelarsi una crisi strutturale. «Nei giorni scorsi – spiega Massimo Stronati, presidente Federlavoro e Servizi Confcooperative, che associa 5.051 aziende e conta 220.665 soci (persone fisiche e persone giuridiche), con 170.800 occupati (soci lavoratori e addetti non soci) per un fatturato aggregato pari a 7,9 miliardi di euro – imprese e sindacati del settore, tutti insieme, hanno ripetutamente chiesto l’intervento del governo per eliminare la cosiddetta 'tassa sul cambio appalto', perché di questo si tratta, di una tassa e non di un ammortizzatore sociale. È un controsenso logico, prima ancora che giuridico, un ammortizzatore sociale che non potrà essere destinato ai dipendenti perché questi saranno riassunti dall’impresa subentrante. Le aziende del settore, infatti, applicano un contratto nazionale che prevede all’articolo 4, la cosiddetta clausola sociale: si impegnano cioè, in caso di cambio appalto, a riassumere il personale dell’azienda uscente. Eppure proprio queste aziende dovranno pagare lo stesso. Di fatto è stata introdotta una tassa che colpisce proprio quelle Pmi che si impegnano a riassumere e a non creare disoccupazione». Molte imprese, per evitare di pagare una tassa ingiusta, che potrebbe portarle alla chiusura, potrebbero ricorrere a soluzioni di tipo contrattuale per evitare formalmente il cambio di appalto. «È un’ipotesi, forse solo un allarme infondato – continua Stronati – ma se così fosse, centinaia di aziende si troverebbero tendenzialmente impegnate a eludere il Jobs act. Inoltre potrebbe essere messa in discussione proprio la clausola sociale, il che appare davvero un controsenso assurdo». Il presidente di Federlavoro e Servizi di Confcooperative, inoltre, chiede al premier Matteo Renzi «che a pagare non siano ancora una volte le piccole e medie imprese, non quelle che in questi anni hanno tenuto e garantito lavoro, non quelle che si impegnano a garantirlo. Durante i lavori per l’ultima legge di Stabilità sono stati presentati diversi emendamenti che proponevano l’eliminazione di questo controsenso, di questa tassa assurda, emendamenti dichiarati ammissibili, perché recavano l’indicazione della fonte normativa con cui coprire la spesa. Almeno per una proroga di un anno».
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