Industria alimentare in crisi per la chiusura prolungata di bar e ristoranti - Ansa
Rischiano di venire espulse dal mercato, per effetto della crisi innescata dalla pandemia, più di 73mila imprese di dimensioni piccole e medie. Si tratta di una fetta consistente, pari al 15%, del totale. A rischio soprattutto le imprese dei servizi (17%) che rappresentano una quota quasi doppia rispetto a quelle manifatturiere (9%). Per quanto riguarda la collocazione geografica sono quasi 20mila le realtà in crisi nelle regioni del Mezzogiorno, 17.500 al Centro e 37mila al Nord. Se si leggono i dati in percentuale rispetto al tessuto imprenditoriale locale ad emergere è una nuova e drammatica questione meridionale, con le regioni del Centro che si stanno livellando verso il basso.
Il grido d’allarme sullo stato di salute delle pmi è contenuto nell'indagine Svimez-Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne-Unioncamere, condotta su un campione di 4mila imprese manifatturiere e dei servizi tra 5 e 499 addetti.Il punto di partenza del rapporto è la constatazione di quali sono le imprese a chiusura. Si tratta di realtà che «hanno forti difficoltà a "resistere" alla selezione operata dal Covid come risultato di una fragilità strutturale dovuta ad assenza di innovazione (di prodotto, processo, organizzativa, marketing), di digitalizzazione e di export, e di una previsione di performance economica negativa nel 2021».Quasi la metà (48%) delle imprese italiane è fragile (non innovative, non digitalizzate e non esportatrici). Al Sud arrivano al 55%, quasi al 50% al Centro, al 46% e al 41% rispettivamente nel Nord-Ovest e nel Nord-Est. Questi divari confermano la tesi Svimez di «nuova questione del Centro», che ha un'incidenza più vicina a quella del Mezzogiorno. Un dato ancor più marcato nel settore dei servizi, dove i deficit di innovazione e digitalizzazione fanno sì che le imprese fragili superino il 50% a livello nazionale, sfiorando il 60% al Sud. Nel comparto manifatturiero sono fragili in Italia il 31% delle aziende, che salgono al 39% nel Mezzogiorno.Le previsioni per il futuro non sono rosee. Il 30% delle imprese dei servizi e il 22% di quelle manifatturiere si aspettano un fatturato in calo anche nel 2021, un segnale evidente del prolungarsi della crisi per tutto l’anno in corso. Incrociando dinamiche settoriali e territoriali emergono due tendenze principali: nei servizi non si segnalano differenze territoriali notevoli e una persistenza della crisi soprattutto nel Nord-Ovest, nel manifatturiero, invece, si confermano le difficoltà di ripresa del Mezzogiorno (27% delle imprese con previsioni di performance negative, contro il 19% del Nord-Est) e, sia pur meno accentuate, del Centro (25%).
«Dall'indagine emerge, oltre a una differenziazione marcata tra Nord Est e Nord Ovest, anche la fragilità di un Centro che si schiaccia sempre più sui valori delle regioni del Sud – commenta il direttore Svimez, Luca Bianchi –. I diversi impatti settoriali, con la particolare fragilità di alcuni comparti dei servizi, impongono, dopo la prima fase di ristori per tutti, una nuova fase di interventi di salvaguardia specifica dei settori in maggiore difficoltà, da accompagnare con specifiche iniziative per aumentare la digitalizzazione, l'innovazione e la capacità esportativa delle imprese del Centro-Sud».Secondo Gaetano Fausto Esposito, direttore generale del Centro Studi delle Camere di commercio G. Tagliacarne, avverte che «è possibile che le imprese del Mezzogiorno possano conseguire quest'anno risultati ancora più negativi rispetto alle loro aspettative, perché meno consapevoli dei propri ritardi accumulati sui temi dell'innovazione e del digitale. Anche per questo c'è bisogno di un patto per un nuovo sviluppo che tenga conto della gravità della situazione e del preoccupante aumento dei divari».