giovedì 8 marzo 2018
Tutte le regioni meridionali in posizioni gravemente svantaggiate rispetto alle altre europee, con Puglia, Calabria, Campania e Sicilia nelle ultime quattro posizioni (tasso di occupazione al 30%)
Giovani donne disoccupate soprattutto al Sud
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Una donna laureata da quattro anni, che lavora al Sud ha un reddito medio mensile netto di 300 euro inferiore a quello di un uomo (1.000 euro contro 1.300). A quattro anni dalla laurea il divario di reddito tra maschi e femmine, pur rimanendo, tende comunque a ridursi. Delle donne meridionali occupate, una su tre lavora al Nord, circa il 62%, e la componente femminile meridionale è molto più mobile rispetto a quella maschile. In base alle elaborazioni Svimez, il tasso di disoccupazione femminile nel 2017 era il 21,9% al
Sud e il 9,1% al Centro Nord. Ma se si guarda alle giovani donne, tra 15 e 24 anni, il divario è ben più ampio: addirittura 55,3% nel
Mezzogiorno e 27,7% nelle regioni centrali e settentrionali. Il doppio, quindi.

Tutte le regioni meridionali sono collocate in posizioni gravemente svantaggiate rispetto alle altre europee, con Puglia, Calabria,
Campania e Sicilia nelle ultime quattro posizioni, con valori del tasso di occupazione intorno al 30%, di circa 35 punti inferiori alla
media europea e sensibilmente distanti da quelle del Centro-Nord.

L'andamento dell'occupazione femminile meridionale ha subito un duro contraccolpo durante gli anni della crisi: in particolare tra il 2008 e il 2014 le giovani donne del Sud, tra 15 e 34 anni, hanno perso oltre 194 mila posti di lavoro. Negli anni immediatamente successivi alla recessione, tra il 2014 e il 2017, ne hanno recuperato appena 6 mila. La ripresa, quindi, ha giovato solo alle donne dai 50 anni in su, le quali peraltro già durante la crisi non avevano perduto sostanzialmente occupazione, che si era però trasformata da rapporti a tempo pieno in part time, in gran parte involontario.

La scarsa partecipazione femminile è connessa all'incapacità delle politiche italiane di welfare e del lavoro di conciliare la vita lavorativa a quella familiare, causando anche incertezza economica e una modifica dei comportamenti sociali, tra cui la riduzione del tasso di fertilità delle italiane. Nell'ultimo decennio le donne meridionali sono passate dai tassi di fertilità molto più elevati rispetto a quelle del Centro-Nord a tassi di fertilità sensibilmente più bassi: 1,3 figli per donna al Sud rispetto a 1,4 nelle regioni centrali e settentrionali.

Ciò è anche una conseguenza di servizi per l'infanzia offerti dalla pubblica amministrazione alquanto carenti: nel Mezzogiorno solo un terzo dei Comuni offre degli asili nido che coprono appena il 4,6% dei bambini con età inferiore ai tre anni. Regioni come Calabria e Campania li offrono addirittura a meno del 3% dei bimbi.

La copertura di asili nido pubblici al Sud è, in base agli ultimi dati dell'Istat, è attorno al 4% rispetto a un 18% nel Centro-Nord. Per
quanto riguarda la cura degli anziani, altra mansione alla quale le donne sono il più volte costrette a sopperire alla carenza di servizi
adeguati, sempre in base ai dati Istat, la spesa pro capite per gli over 65 anni è al Centro-Nord di 119 euro in un anno e al Sud di 55 euro.

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