giovedì 3 novembre 2022
Secondo Confcooperative, si è orientato sull'economia circolare, la riduzione dei consumi energetici e sulla formazione il 79% delle cooperative aderenti. Gardini: «Servono misure per le rinnovabili»
Il 40,3% delle cooperative ha fatto investimenti sul fronte del risparmio energetico e della riduzione dei consumi

Il 40,3% delle cooperative ha fatto investimenti sul fronte del risparmio energetico e della riduzione dei consumi - Imagoeconomica

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Sempre più cooperative scelgono di investire in progetti di sostenibilità e di economia circolare. Più precisamente, quasi otto cooperative su dieci (il 79%), ha intrapreso questa strada, con iniziative che, sommate, nel 2021 sono arrivate a coprire oltre 1,2 miliardi di euro di investimenti. È un dato incoraggiante quello diffuso oggi, nella Seconda giornata della Sostenibilità, da Confcooperative, e che riguarda diversi ambiti. Si va infatti da investimenti sul fronte del risparmio energetico e della riduzione dei consumi (intrapresi dal 40,3% delle cooperative, con un aumento di quasi il 10% rispetto al 2020), all’acquisto e utilizzo di materiali di minore impatto ambientale (28,8%). Il 23,1% delle cooperative ha avviato percorsi formativi e informativi interni sulla sostenibilità, mentre il 18,8% ha scelto di promuovere l’eco-innovazione e di investire in tecnologie rispettose dell’ambiente. Infine, il 14,4% si è indirizzato verso il riciclo e il riutilizzo dei materiali.

Secondo Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, «la sostenibilità per le imprese non è più una scelta, ma una strada obbligata. Senza una reale transizione ecologica, accompagnata dalla semplificazione burocratica, da tempi sostenibili e dalle giuste misure fiscali, sono a rischio nel nostro Paese 1,6 milioni di imprese che danno lavoro a 5,6 milioni di occupati». Per Gardini, sul fronte ambientale le cooperative sono pronte a investire anche di più e il Pnrr può rappresentare la benzina verde della transizione, “ma occorrono misure di sostegno e soprattutto meno burocrazia per realizzare impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile in tempi più brevi”.

Le imprese green e i costi di adattamento per la transizione energetica

Secondo una elaborazione Censis su dati Cerved, la quota di imprese italiane totalmente green (attività di smaltimento e gestione rifiuti, distribuzione di elettricità e gas), è ancora ridotta: infatti, soltanto 16.354 imprese, che danno lavoro a 267mila occupati, sono già in linea con i requisiti di un sistema ad emissioni zero previsti dagli standard Ue. Sono invece oltre 932mila le imprese - che danno lavoro a poco meno di 2 milioni di lavoratori, pari all’11,6% dell’occupazione totale - che rischiano di incorrere in considerevoli perdite finanziarie a seguito dei necessari investimenti per adattarsi alle strategie di un’economia a zero emissioni e sostenibile dal punto di vista ambientale. Rappresentano il 17,6% del totale

Il “rischio” è infine da considerarsi medio per 600mila imprese che danno lavoro a 3,7 milioni di lavoratori, 1,5 milioni dei quali nelle piccole e medie imprese. Imprese che appartengono al comparto manifatturiero, come il sistema moda, il sistema casa, la meccanica. In questo caso l’adeguamento dei processi produttivi per ridurre l’impatto ambientale delle attività obbliga comunque a investimenti rilevanti. Un fenomeno che riguarda oltre l’11% delle imprese italiane.

Tuttavia, più di 3,7 milioni di aziende su oltre 5 milioni di quelle censite (il 70,9% sul totale delle imprese attive presenti nel Registro delle imprese) vengono definite a rischio trascurabile: per queste imprese, infatti, gli investimenti per adeguare o riconvertire la produzione in un sistema economico a zero emissioni nette e sostenibile dal punto di vista ambientale non inciderebbero sui costi, l’occupazione e l’accesso ai mercati finanziari. Rientrano in questo segmento le strutture attive nei servizi alle imprese e alle famiglie e nel comparto Costruzioni.

Le Pmi che necessitano di elevati investimenti per riconvertire gli impianti produttivi e renderli sostenibili, pena l’uscita dal mercato, sono il 10,6% sul totale delle Pmi. In termini di appartenenza di settore, le imprese ad alto grado di rischio sono quelle impegnate in attività di estrazione, lavorazione e commercializzazione di combustibili fossili, nella produzione di energia elettrica da fonti non rinnovabili e, in genere, in attività “energivore” come la siderurgia, ma anche parte delle filiera agricole come l’allevamento.

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