mercoledì 7 gennaio 2009
In Italia c’è un esercito di quasi un milione e mezzo di poveri «estremi», ma finora solo 600mila persone hanno chiesto il contributo Esistono grandi ostacoli nella comunicazione perché troppo spesso «lo Stato sa poco di loro e loro sanno poco dello Stato»
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Vale 40 euro al mese la carta acquisti approvata con appo­sito decreto dai ministeri del Welfare e del Tesoro nell’ul­tima manovra. È ricaricabile ogni due mesi alle Poste con 80 euro ed è operativa da dicembre. La social card, simile a una carta di credito, è destinata ai cittadini italiani con oltre 65 anni e reddito inferiore ai 7 mila euro e alle famiglie, con lo stesso red­dito, in cui ci sia un bambino sotto i tre anni. Costoro dovranno provare, tramite modello Isee (Indicatore di stato economico e­quivalente) di possedere inoltre una sola automobile e una sola casa, di avere intestata una sola utenza di elettricità e gas, di non avere a proprio nome oltre il 25% di un secondo immobile e un patrimonio mobiliare non superiore a 15 mila euro. La carta va­le un anno e dopo sei mesi dall’avvio, infatti, è prevista una veri­fica. Entro la fine del 2009, ne sarà deciso l’eventuale rinnovo.
MARISCO (CARITAS)«Intento positivo ma non basta. Davvero pochi quei 40 euro»Partirà entro la fine del mese una campagna capillare di informazione in tutte le parrocchie , nelle Caritas diocesane e i centri di ascolto. Un’iniziativa voluta dalla Caritas italiana e dal Caf della Cisl per raggiungere tutti i potenziali destinatari della social card che finora non hanno presentato domanda e rimediare alla partenza tra luci e ombre dell’iniziativa. Mancano infatti all’appello almeno 600 mila poveri, la metà circa degli aventi diritto. Lo annuncia il vicedirettore della Caritas italiana Francesco Marsico. Come mai solo un quarto delle card distribuite finora?Perché i principali destinatari, anziani poveri e soli o famiglie in grande difficoltà con figli sotto i tre anni, non sono certo acculturati e raggiungerli e informarli è difficile. In molti casi sono persone quasi analfabete. Paradossalmente, lo Stato sa poco di loro e anche loro conoscono poco lo Stato. Probabilmente sono più avvezzi a rivolgersi all’associazionismo cattolico e alle parrocchie. In questo senso la social card è un’occasione per la pubblica amministrazione per chiarirsi le idee sui poveri.Secondo lei è un problema comunicativo?Non solo. Direi che le modalità di accesso si sono rivelate troppo complesse. Comunque, se è vero che almeno la metà dei potenziali destinatari non ha ancora risposto, è giusto impegnarci sui territori per raggiungerli, Come intendete procedere?Con un accordo con gli amici del Caf Cisl, con i quali abbiamo già lavorato in occasione del bonus incapienti del precedente governo. Stiamo stringendo i tempi per sottoscriverlo e partire a fine mese. Vorremmo impiegare una gamma di strumenti, dai volantini ai manifesti agli spot radiofonici ai comunicati sui settimanali diocesani e gli organi di stampa locali. L’obiettivo è mobilitare i territori, insomma, perché comunque le attese della povera gente non vadano deluse.Veniamo ai disguidi denunciati da più parti. È vero che chi non ha utilizzato la card entro la fine del 2008 ha perso i 120 euro di finanziamento retroattivo?Purtroppo mi risulta di sì. E credo che questa stortura vada corretta insieme ad esempio al meccanismo di convenzione dei negozi.La Caritas italiana non ha mai nascosto le critiche a questo provvidemento. Le conferma?Noi non siamo pregiudizialmente contrari alla social card, ma abbiamo dichiarato a suo tempo che non era una misura sufficiente. Articolo il ragionamento. L’Italia non dispone di forme di contrasto alla povertà di tipo europeo. In particolare ci manca il sostegno al reddito alle famiglie a rischio povertà. In questo senso la social-card è una risposta positiva, ma non sufficiente in quanto: è categoriale (va solo in direzione degli anziani ultra 65enni o per i minori dei tre anni), è finanziata da contributi di enti economici o aziende, e non dalla  fiscalità generale, e non è chiaro che futuro avrà. Infine, fatto non secondario, è di dimensione minime sul piano economico. Ciò detto, non mancano elementi di interesse e di novità.Quali sono?Costituisce comunque il primo passo per un intervento sul reddito basso dopo il reddito minimo garantito. Quello fu un provvedimento sperimentale e limitato territorialmente ad alcuni comuni. Questo invece si estende su scala nazionale. Noi privilegiamo gli interventi strutturali, però, pur non essendo questo un intervento sperimentale, seguiamo con attenzione gli sviluppi. Occorre un apporccio costruttivo. Valuteremo poi gli esiti e, sulla base di considerazioni suffragate da numeri e fatti, imposteremo un confronto col governo.Cosa intendete chiedere all’esecutivo?Ad esempio l’aumento dell’importo della carta, congiuntura economica permettendo, perché 40 euro sono proprio pochini. Secondo, domanderemo l’ampliamento della platea dei destinatari, perché la fascia di povertà che ha bisogno di un sussidio in Italia è certamente più ampia. Terzo, di finanziare con la fiscalità generale provvedimenti durevoli e non a scadenza, magari uscendo una volta per tutte dalla logica del bonus.Oltre le polemiche, ora cosa occorre fare?Lavorare per migliorare l’informazione e indirizzare ai patronati. Non so se è vero che questo provvedimento è così complesso perché alla fine pochi possano usarlo, dato che le risorse disponibili sono scarse. Non sono giudizi che spetta a noi dare. Tuttavia assicuro che faremo di tutto per raggiungere chi ha diritto di esigere la social card, come è nostro compito. Partiamo dunque dai 40 euro per implementare l’azione di sostegno ai redditi bassi. È un inizio e, dato che c’è, vogliamo usare bene questo strumento.
VACCHINA (ACLI)«Per la prima volta contattati tanti indigenti prima invisibili»Le cifre parlano chiaro, l’esordio della social card è stato abbastanza deludente, stando ai bilanci dei patronati Acli e Cisl presi d’assalto a dicembre e anche nei primi giorni dell’anno. Finora di tessere destinate alle persone con basso reddito, istituite come aiuto economico dal governo e caricate con 40 euro mensili per fare la spesa ai supermercati o pagare le bollette, ne sono state erogate poche. Sono circa 330mila, su una platea di un milione e trecentomila italiani aventi diritto. In realtà al Caf delle Acli, il centro di assistenza fiscale, risulta che le Poste abbiano ricevuto ad oggi circa 600 mila domande e che ben un terzo di queste, 180mila, siano state respinte perché, pur disponendo dei requisiti fiscali di partenza, l’Inps ha successivamente accertato la presenza di altre rendite fiscalmente esenti come una pensione da orfano di guerra o un assegno di accompagnamento o somme di 15 mila euro sui conti correnti bancari. Questo spiega, a parte i disguidi registrati in alcuni supermercati, perché, stando a quanto denunciato dalla Cisl, il 40% degli acquisti tramite carta non siano andati a buon fine. L’erogazione della carta al cittadino non è infatti garanzia della sua attivazione. L’ente previdenziale non manda comunicazioni scritte agli utenti per segnalare che non hanno in realtà diritto ai 40 euro. Semplicemente, a chi non è in regola, non vengono caricate le social card anche se ne è entrato in possesso.  «Uno lo scopre al supermercato se ha o meno i danari sufficienti ad acquistare il cibo. Poi vengono a protestare al patronato Acli, - commenta Paola Vacchina, 39 anni, presidente del Caf Acli e vicepresidente nazionale dell’associazione dei lavoratori cristiani - ma in realtà la spedizione da parte delle Poste e l’attivazione spesso non coincidono, dato che i criteri per il contributo di 40 euro mensili sono davvero molto selettivi e comprendono controlli, tramite il modulo Isee, anche sul conto in banca». E se i risparmi superano i 15  mila euro, anche se il reddito è sotto i 7mila, per un anziano single salta tutto. È stata accolta la vostra richiesta di spostare il termine di presentazione delle domande al 28 febbraio?Si, il governo, visti i disagi e il numero di persone che non hanno presentato domanda, ha accolto la nostra richiesta di spostare di 60 giorni la scadenza. Credo che presto dovrebbe arrivare la conferma ufficiale alle voci di rinvio apparse nei giorni scorsi su diversi organi di stampa. Nei principali uffici postali di alcune città, poi, a fine dicembre, la direzione, in presenza di lunghe code, ricordava che era possibile presentarle anche a gennaio. Quindi il differimento è sicuro.Come spiegate il basso numero di tessere distribuite finora?Credo che la partenza lenta sia dovuta in buona parte alle difficoltà di comunicare con gli aventi diritto, perlopiù anziani e più avvezzi al rapporto con le parrocchie e i centri Caritas che con la burocrazia dello Stato. Poi, certo, a spiegare l’erogazione di un quarto delle carte sociali rispetto agli aventi diritto c’è soprattutto il problema delle rendite. Chi ha un reddito inferiore ai settemila euro, ma dispone della pensione di orfano di guerra o dell’indennità di accompagnamento, che non vanno dichiarati, per gli accertamenti del fisco è in regola. Poi l’Inps accerta l’esistenza di queste rendite ed esclude il soggetto in un secondo momento. Infine c’è un problema di sommerso. Per cui chi dichiara un reddito basso, ma lavora in nero, non la richiede per non dover subire accertamenti magari sui conti bancari.Finora che valutazione date all’iniziativa?Senza esprimere giudizi politici, vorrei rilevare che per la prima volta una platea di indigenti è stata contattata dalle amministrazioni pubbliche, aldilà dei servizi assistenziali. Questo potrebbe costituire un buon inizio perché in questo modo, ad esempio, si potrebbe definire meglio la conoscenza dei poveri effettivi per aiutarli anchea livello locale. Pensiamo ad esempio di proporre ai Comuni uno sconto sulla tassa rifiuti a questa fascia di indigenti e così via. Spiace che siano esclusi dalla social card gli immigrati, perché sotto le soglie di reddito previsto vi sono certamente molte famiglie con bambini di età inferiore ai tre anni che non possono essere aiutate». Non è inusuale questo rigore per l’erogazione di 40 euro al mese?È una novità positiva. L’amministrazione pubblica sta svolgendo un lavoro certosino. Vuol dire che lo Stato ha gli strumenti di controllo e li vuole usare per garantire equità e giustizia. Ci auguriamo li sappia mettere in atto anche nei confronti degli evasori fiscali.
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