martedì 23 giugno 2020
La quota di lavoratori impiegati a distanza dopo il lockdown nelle grandi aziende 37,2% La quota di piccole imprese che hanno fatto ricorso al lavoro agile nel lockdown 76%
Smart working in calo ma resiste: oggi il 5,3% sta lavorando da casa
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Ora che il crash test del lockdown è alle spalle, nel graduale ritorno alla normalità lo smart working è chiamato a trasformarsi da modalità indispensabile a strumento utile in un’organizzazione del lavoro complessiva. In simultanea con l’inizio dell’emergenza sanitaria, del resto, è partito anche il più grande esperimento di lavoro agile che si sia mai verificato: improvvisamente in Italia si è passati da 570mila smart workers a 8 milioni di 'telelavoratori' secondo un’indagine realizzata da Cgil e Fondazione Di Vittorio. In assenza di una cornice normativa ben definita, il lavoro da remoto si è diffuso sostanzialmente in modo spontaneo in epoca Covid, trovando terreno fertile in particolare in alcuni campi. Come era prevedibile il fenomeno ha preso piede soprattutto nelle realtà più strutturate. Dal recente rapporto Istat sulla situazione e le prospettive del Paese il 90% delle grandi imprese (250 addetti e oltre) e il 73,1% delle imprese di dimensione media (50-249 addetti) hanno introdotto o esteso lo smart working durante l’emergenza. Il fenomeno è cresciuto anche nelle imprese di minori dimensioni, che hanno aumentato il ricorso al lavoro agile: è passato all’azione il 37,2% delle piccole (10-49 addetti) e il 18,3% delle microimprese (3-9 addetti). L’incidenza di personale impiegato in modalità agile arriva al 21,6% nelle imprese di medie dimensioni dal 2,2% di gennaio/febbraio mentre nelle grandi dal 4,4% dei primi due mesi dell’anno accelera fino al 31,4%. I settori più coinvolti sono i servizi di informazione e comunicazione (dal 5% al 48,8%) e le attività professionali, scientifiche e tecniche (dal 4,1% al 36,7%) e la fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata (dal 3,3% al 29,6%). Anche dopo la fine del lockdown (maggio-giugno 2020), la quota di lavoratori impiegati a distanza pur in declino resta significativa (5,3%), soprattutto nelle grandi e medie imprese (25,1% e 16,2%). Eppure non è solo una questione di numeri, ma anche di qualità. Lo smart working è spesso ridotto al mero lavoro da remoto, quando in realtà – come segnalano gli esperti – è un sistema decisamente più complesso e completo. Ecco per- ché non basta un pc e una connessione per fare di un dipendente un lavoratore flessibile. Così come non è detto che un’attivazione provvisoria di progetti di lavoro da remoto di una Pmi si trasformi poi in un’iniziativa strutturale.

Finora lo tsunami smart working è stato segnato da luci ed ombre. Tra gli aspetti positivi c’è il livello di gradimento elevato di chi l’ha sperimentato. Già prima della rivoluzione Covid - dai dati risultati della ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano e relativi al 2019 - il 76% degli smart workers è soddisfatto del proprio lavoro, contro il 55% degli altri dipendenti. Uno su tre, inoltre, è pienamente coinvolto nella realtà in cui opera, rispetto al 21% di chi lavora in modalità tradizionale. Non mancano però limiti, criticità e rischi. Dal lato dei dipendenti, per esempio, c’è il pericolo di una sovrapposizione tra spazi lavoratori e quelli personali-familiari, spesso bisogna fare i conti con una conoscenza non adeguata degli strumenti digitali e si fa più fatica a separare orari di lavoro e tempo libero (tanto che si parla di 'diritto alla disconnessione'). Dal fronte delle aziende, invece, lo smart working può essere letto in modo miope esclusivamente come un’opportunità di tagliare i costi, senza ripensare l’organizzazione delle attività in chiave innovativa. Negli ultimi giorni, inoltre, si è aperto il dibattito sulle ripercussioni che una diffusione eccessiva dello smart working può avere sul futuro delle economie delle grandi città. «Stop allo smart working, adesso è ora di tornare al lavoro », è l’appello con cui Giuseppe Sala, ha messo in guardia dal rischio di un 'effetto grotta'. «Il mio timore è che a settembre vedremo piani di efficientamento che di fatto si tradurranno in licenziamenti », ha aggiunto il sindaco di Milano preoccupato che il lavoro agile diventi fragile. Nella pubblica amministrazione, tuttavia, lo smart working è entrato prepotentemente nell’emergenza per restarci stabilmente nel prossimo futuro. La ministra Fabiana Dadone ha annunciato che sarà prevista una proroga oltre il 31 luglio, che è il termine fissato al momento, per arrivare a garantirlo a regime al 30%.

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