giovedì 18 marzo 2021
Primo giorno di sciopero ad Amazon. I 10mila somministrati della multinazionale sono stremati
Mattia Pirulli, segretario generale di Felsa Cisl

Mattia Pirulli, segretario generale di Felsa Cisl - Archivio

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Lunedì 22 marzo si fermeranno per la prima volta per 24 ore in tutta Italia per lo sciopero proclamato dai sindacati dei trasporti, del commercio e degli atipici. Mattia Pirulli, segretario generale della Felsa Cisl, prova a spiegare il motivo per cui anche i lavoratori somministrati presso Amazon incroceranno le braccia.

Intanto quanti sono i lavoratori interessati allo sciopero?
Solo i somministrati sono 10mila, distribuiti nei 22 siti. Nel complesso sono tra i 30 e i 40mila, anche se nessuno ne conosce il numero preciso. Per quanto riguarda i lavoratori in somministrazione, possiamo affermare che hanno un identikit variegato: ci sono giovani, donne, ricollocati.

Il commercio elettronico e Amazon in particolare, con lo scoppio della pandemia,
stanno vivendo un vero boom di ordini e di fatturato...
Sì. È proprio così. Ma a questo boom non è corrisposta una maggiore attenzione per le condizioni dei lavoratori. Contratti brevi, ampio turn over e organizzazione del lavoro sono le problematiche principali. Siamo arrivati a uno sciopero necessario perché i lavoratori sono stremati, non ce la fanno più.

Davvero non avete mai incontrato i vertici della multinazionale?
Con le Agenzie per il lavoro ci siamo incontrati diverse volte. Da Amazon non abbiamo mai avuto risposte. Per questo abbiamo proclamato lo sciopero, nel rispetto delle norme previste dalla pandemia. Tra lavoratori diretti e indiretti, esiste una vera e propria giungla di rapporti di lavoro: ci sono dipendenti diretti di Amazon, dipendenti delle ditte in appalto che lavorano nella logistica, lavoratori in somministrazione e precari, per i quali noi invochiamo una maggiore continuità lavorativa.

Qual è la situazione nelle tante strutture disseminate sul territorio?

Già in passato c’erano state proteste a Castel San Giovanni (Piacenza). Oltre che in Piemonte e Toscana, dove la temperatura si è surriscaldata, visto anche il comportamento dell’azienda, che ha messo i lavoratori in cassa integrazione e ha aumentato i carichi di lavoro agli altri.

Quali rischi per chi lavora nei magazzini?
Questa frammentazione dei contratti e questa continua modifica degli orari di lavoro non aiuta il benessere psico-fisico dei somministrati. I lavoratori perdono il contatto con la vita familiare e personale. Oltre al rispetto delle maggiorazioni dovute, chiediamo un confronto inclusivo e un tavolo delle diverse rappresentanze.

Servirà questo sciopero?

Non credo in un’alta adesione, ma Amazon deve capire che qui siamo in Italia e non in America, dove un lavoratore si trasferisce da uno Stato all’altro, lascia e prende un lavoro. Non vogliamo che i lavoratori siano 'spolpati' per 9-12 mesi e poi abbandonati. Diciamo sì alla flessibilità, ma deve essere regolata. Vogliamo un lavoro più umano e una continuità lavorativa. E questa 'partita' con Amazon è centrale per gli anni a venire, dobbiamo fissare i diritti dei lavoratori di questo mondo che siamo convinti continuerà a crescere. Amazon è una grande azienda, ne siamo consapevoli, e lo deve capire. Anche perché le nostre sono tutte richieste che vengono fatte per un’azienda e un settore che non sono in crisi, anzi. E quindi per noi ci sono tutti i presupposti per arrivare a un’intesa, ma questo non è avvenuto. Il dialogo è aperto con le Agenzie per il lavoro, ma il segnale lo deve dare Amazon con una risposta sulle proposte che abbiamo fatto. L’azienda non può evitare il confronto all’infinito. È un segnale per affrontare una problematica europea. Per cui è necessaria una strategia multinazionale.

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