giovedì 3 agosto 2017
Il caso è nato dal licenziamento di un giovane italiano al compimento del suo 25esimo anno di età. Il giuslavorista De Palma: disparità ispirata alla promozione delle assunzioni
Corte Ue: legittimi i contratti riservati agli under 25
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Una sentenza della Corte di Giustizia Europea stabilisce che è lecito licenziare un giovane al compimento dei 25 anni, se è stato assunto a durata indeterminata, ma con un contratto destinato agli under 25. Il caso è nato dal licenziamento di un giovane italiano al compimento del suo 25esimo anno di età da parte di una catena di abbigliamento giovanile, che lo aveva assunto con un contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato sette mesi prima del suo compleanno. La Corte Ue ha di fatto dato ragione all’azienda perché «le norme che prevedono la licenziabilità del lavoratore intermittente al compimento del 25esimo anno di età, introducono certamente una differenza di trattamento dei lavoratori fondata sull'età (…) giustificata dalla finalità di favorire l'occupazione giovanile» perché consente agli under 25 «non tanto di ottenere un lavoro stabile quanto piuttosto di avere una prima esperienza lavorativa funzionale al successivo accesso al mercato del lavoro».

«La sentenza - spiega Alessandro De Palma, giuslavorista dello studio OrsingherOrtu-Avvocati Associati -non risulta né innovativa né particolarmente “coraggiosa”, anzi segue un iter logico lineare e, se vogliamo, prevedibile. La Corte Ue, infatti, non nega che la norma in oggetto crei una disparità di trattamento tra under e over 25, si tratta però di una disparità legittima in quanto ispirata a finalità lecite quali la promozione delle assunzioni, la flessibilizzazione del mercato del lavoro, la facilitazione dell’ingresso e della collocazione dei giovani nel mondo del lavoro, la promozione dell’inserimento professionale e l’eliminazione di forme di lavoro illegali. L’imposizione del vincolo di età non deve essere quindi visto dai giovani come un pregiudizio alle loro chance lavorative bensì come un’opportunità per l’ingresso nel mondo del lavoro».


Per l'avvocato De Palma il fulcro della questione non è «tanto tutelare i lavoratori, bensì tutelare in generale il “mercato del lavoro”. Agendo sulle dinamiche d’ingresso nel mercato del lavoro, incentivandone la flessibilità e l’apertura, si raggiungerebbe indirettamente il risultato auspicato: la creazione di nuovi posti di lavoro e l’aumento del tasso di occupazione. In altre parole, con i giusti accorgimenti ed una volta entrato “a regime”, sarebbe il mercato stesso a tutelare i lavoratori».

Il giuslavorista ritiene anche che il Jobs Act non ha introdotto maggiori tutele rispetto al passato. Ma dopo più di 45 anni dallo Statuto dei Lavoratori «serviva una legge che perlomeno tentasse concretamente di dare una risposta ai problemi dell’attuale mercato del lavoro, di restituirgli dinamismo e di creare opportunità. Il Jobs Act ha avvicinato la nostra legislazione in materia di lavoro a quelle più moderne europee, puntando sulla flessibilità in entrata, ma anche, inevitabilmente, in uscita».

Anche se in alcuni casi «il costo del lavoro a volte diventa solo una scusa per non assumere». «Ma non si può negare - continua De Palma - che sia un fattore rilevante che spesso un imprenditore non può permettersi di ignorare. Il problema non è tanto la mentalità degli imprenditori. Se gli imprenditori non possono permettersi di assumere perché il costo è eccessivo e insostenibile, come biasimarli. Così si affronterebbe il problema dal verso sbagliato. Deve cambiare il peso fiscale/previdenziale che grava sul lavoro. Solo così si potrebbe agevolare l’imprenditore ad assumere, a fare nuovi investimenti. I giovani possono essere incoraggiati solo assicurando loro che qualcosa sta cambiando e facendo in modo che l’economia riparta davvero, che le imprese ricomincino ad assumere a tempo indeterminato, eccetera. Tutto sta nell’iniziare a prendere coscienza che sono le dinamiche del mercato e le leggi che lo governano il centro nodale da cui partire per assicurare ai giovani un impiego».

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