mercoledì 18 novembre 2009
A un mese dalla chiusura dei termini le prime stime indicano vicino l’obiettivo degli 80 miliardi, che porterebbero a 4 miliardi il «beneficio» per lo Stato. Il commercialista Guffanti: le somme continuano a rientrare, anche perché per le imprese familiari c’è un triplice vantaggio.
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Sessanta miliardi di euro sarebbero già rientrati in Italia con lo scudo fiscale. Non è una cifra ufficiale, ma sono i numeri che circolano tra gli intermediari finanziari che stanno gestendo il rimpatrio dei capitali. Una cifra nota anche all’Agenzia delle Entrate, che da qualche giorno ha iniziato a fare qualche sondaggio tra gli intermediari per capire come sta andando la terza edizione dello scudo, a poco più di due mesi dal suo avvio. Le risposte sarebbero molto positive.«Gli intermediari stanno lavorando come matti» dice ad Avvenire il commercialista milanese Fabio Guffanti, intervenuto al convegno "Lo scudo fiscale e l’impresa di famiglia", organizzato dall’Asam, l’Associazione per gli studi Aziendali e Manageriali dell’Università Cattolica di Milano, e dal Cerif, il Centro di ricerca sulle imprese di famiglia. «Basandomi su quanto mi dicono gli intermediari, saremmo già a circa 50-60 miliardi di euro» conferma Guffanti. Calcolando che il 5% del denaro "scudato" deve essere versato all’Erario, oggi lo Stato può già contare su 3 di quei 60 miliardi. Le previsioni del Tesoro parlavano di un incasso attorno ai 4 miliardi di euro – soldi che sarebbero impiegati anche per coprire i 3,6 miliardi necessari al rinvio del 20% dell’acconto Irpef – un obiettivo che sembra ormai facilmente raggiungibile, dato che manca ancora un mese alla scadenza dello scudo, fissata per il 15 dicembre.Probabilmente l’incasso finale supererà le aspettative. «Per questo scudo c’è stato un pronti-via iniziale – racconta Guffanti–. La mattina del 15 settembre in tanti si sono presentati alle banche e alle società fiduciarie per sfruttare le possibilità dello scudo. Ma poi, a differenza di quanto era successo con le altre edizioni dello scudo, le richieste non sono calate». Il rimpatrio procede bene, dunque, anche grazie a un "effetto paura". La stretta dell’Ocse sui paradisi fiscali ha convinto tanti a riportare a galla i loro soldi nascosti. «Magari per sicurezza qualcuno ne lascia di là una parte, sapendo però che maneggiare quella liquidità sarà sempre più difficile» aggiunge il commercialista.Ma c’è anche un altro dato che il Tesoro può accogliere con soddisfazione. Le piccole imprese hanno capito che riportare in Italia eventuali capitali celati all’estero in questo momento può essere un ottimo affare. Lo scudo si può infatti combinare con il "bonus" sulla ricapitalizzazione delle società (previsto dal dl 78/2009) e con la Tremonti Ter. In pratica i soldi "scudati" possono essere utilizzati per aumentare la patrimonializzazione di un’azienda (fino a 500mila euro) ottenendo una deduzione ai fini Ires/Irap del 3% sull’incremento del patrimonio. Poi possono essere investiti in beni strumentali per ottenere il 50% di detassazione previsto dalla Tremonti Ter. «È un momento in cui c’è un’enorme necessità di credito – spiega Guffanti – le banche non stanno facendo il loro lavoro e i piccoli imprenditori che credono nella loro azienda scelgono di usare i soldi "scudati" per immettere liquidità nell’azienda di famiglia».In questo modo i soldi rientrano dall’estero e finiscono nel sistema produttivo. Con la garanzia di riservatezza confermata anche ieri da un rappresentante dell’Agenzia delle Entrate. Antonella Magliocco, capo settore del Fisco per le Agevolazioni fiscalità internazionale e finanziaria, assicura che non ci sarà nessun accanimento particolare, i funzionari dell’amministrazione finanziaria non andranno a cercare chi ha sfruttato le possibilità offerte dal governo solo perché hanno aderito allo scudo; come d’altra parte previsto chiaramente dalla normativa stessa.
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