domenica 27 settembre 2020
Il rinnovo con il via libera delle associazioni per oltre 100mila lavoratori. Bebber (Aris): «Un segnale di senso di responsabilità» La Pastorale della salute: «Una questione di giustizia sociale»
Un medico al lavoro

Un medico al lavoro - Fotogramma

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Dopo 14 anni di attesa, la sanità privata ha un nuovo contratto. Sono stati infatti ratificati venerdì mattina a Roma dal Consiglio nazionale dell’Aris (Associazione religiosa istituti socio-sanitari) i contratti di lavoro sia per il personale medico sia per il personale non medico delle strutture ospedaliere associate. Poche ore dopo, anche l’Associazione italiana ospedalità privata (Aiop) ha dato il via libera al contratto negoziato con il governo e le associazioni sindacali.

«Si tratta di un segnale di un grande senso di responsabilità» sottolinea l’Aris attraverso il suo presidente, il camilliano padre Virginio Bebber. Conferma don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute, che ha seguito la trattativa su mandato della Segreteria generale della Cei: «Siamo convinti che si tratti di una questione di giustizia sociale. Diamo atto al Governo di avere fatto la sua parte andando a coprire il 50 per cento dei costi, credo anche in omaggio ai tempi che stiamo vivendo e allo sforzo che abbiamo chiesto a tutti gli operatori sanitari in questi mesi». «Soddisfatto » si è detto il ministro della Salute, Roberto Speranza: «Finalmente si è sbloccato il nuovo contratto della sanità privata.

Oltre 100mila lavoratori della salute aspettano questo momento da 14 anni. Più diritti, più tutele e più garanzie per tutti». Una preintesa del contratto era stata firmata nello scorso mese di giugno: oltre agli aumenti salariali, la novità più rilevante era rappresentata dalla sostanziale parificazione di trattamento tra dipendenti della sanità pubblica e quelli della sanità privata, un principio che era tra gli obiettivi dei sindacati. Il Governo prima, e la Conferenza delle Regioni poi, avevano approvato che i maggiori oneri derivanti dal nuovo contratto fossero ripartiti al 50 per cento tra i datori di lavoro e le Regioni, titolari dell’organizzazione sanitaria.

Ma solo poche Regioni, fino a questo momento, hanno dato vita alle delibere necessarie. Di qui la rivendicazione, da parte di Aris, del «grande senso di responsabilità » rappresentato dalla ratifica. Spiega il presidente Bebber: «In molte realtà abbiamo compiuto un passo nel buio, poiché ad oggi non tutte le Regioni, e sono diverse, hanno dato seguito all’obbligo contratto in sede ministeriale e in Conferenza delle Regioni di partecipare agli oneri del rinnovo dei contratti nazionali nella misura del 50% attraverso un mix di provvedimenti su tariffe e tetti alle prestazioni». Le Regioni potranno infatti aumentare o abolire il tetto massimo di prestazioni che vengono rimborsate alle strutture sanitarie private e rivedere le tariffe stesse (i Drg), ferme da quasi 15 anni.

Finora tuttavia solo Lombardia, Veneto e Lazio hanno approvato le delibere necessarie per partecipare agli oneri del nuovo contratto; Piemonte, Marche e Sicilia hanno firmato accordi, e l’Emilia–Romagna ha assicurato che si sarebbe attivata quando Aris e Aiop avessero dato il via libera al contratto. «Occorre peraltro riconoscere – aggiunge don Angelelli – sia che le Regioni hanno vincoli diversi (alcune sono ancora sottoposte ai piani di rientro), sia che la sanità privata è divisa tra strutture profit e non profit – quelle dell’Aris – trattate però allo stesso modo». «Il nostro – conclude padre Bebber – è un servizio che rendiamo ai cittadini, e dunque allo Stato, in parità di condizioni con il pubblico in tutto e per tutto, cioè con gli stessi doveri, con gli stessi diritti, con la parità di qualifiche e agli stessi costi per il cittadino sia che scelga le nostre strutture o quelle pubbliche. Per questo ci siamo battuti per difendere le nostre strutture e con loro tanti posti di lavoro: in questo periodo di crisi gravissima molti dei nostri istituti non avrebbero mai potuto sostenere l’intero onere del rinnovo senza rischiare la definitiva chiusura».

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