martedì 10 settembre 2019
Al via giovedì una rassegna segnata dalle assenze e dai timori sulla strada industriale intrapresa da tutti i costruttori. Per Moody's i bond Ford sono “spazzatura”
Francoforte parla solo tedesco ed elettrico (ma sottovoce)
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Parla solo tedesco, o quasi. Ma sottovoce, perchè non c’è nulla che autorizzi ad alzare i toni nemmeno i padroni di casa che hanno ridimensionato spazi, ambizioni e prospettive. Il Salone dell’Auto di Francoforte che apre giovedì 12 al pubblico “tagliando” i suoi padiglioni e allungando la lista dei marchi assenti, nasconde dietro le illusioni della svolta elettrica la profonda incertezza del mercato azzoppato dal rallentamento delle vendite in Cina e preoccupato dall’andamento negativo dell’economia in Germania, mentre l’industria europea dell’automobile si porta la guerra dei dazi e l’incognita Brexit come scomodi compagni di viaggio.

L’ormai radicato malessere delle grandi esposizioni dove i costruttori non sono più disposti a investire grossi capitali dal ritorno incerto è la ragione che sta alla base della scelta di chi ha deciso di non partecipare alla vetrina di Francoforte, un tempo irrinunciabile. Assenti Fiat-Chrysler (comprese Ferrari e Maserati), il Gruppo PSA fatta eccezione per il brand Opel, e soprattutto i giapponesi di Toyota, Nissan, Mitsubishi, Suzuki e Mazda, oltre a Volvo, Subaru e Aston Martin, per limitare l’elenco ai brand più popolari. C’è invece Ford, che comunque non ride: proprio ieri l’agenzia Moody’s ha declassato a “junk”, ossia “spazzatura”, il rating del colosso americano, affermando che il debito dell’azienda rimane troppo alto, ed esprimendo forti dubbi sul piano di rilancio del nuovo amministratore delegato Jim Hackett.

Sono così i costruttori tedeschi a prendersi tutto lo spazio non potendo mancare l’appuntamento di casa. Ma se c’è aria di crisi anche in Germania, con la locomotiva d’Europa non proprio in salute, i Gruppi Bmw, Volkswagen e Daimler-Mercedes sfoderano comunque le ultime tecnologie sviluppate grazie alla potente iniezione di denaro decisa dallo scoppio del dieselgate in poi: l’associazione delle case tedesche Vda ha annunciato, entro i prossimi tre anni, ulteriori investimenti per 40 miliardi di euro. Ma nessuno è convinto che la tanto esaltata transizione verso l’elettrificazione della mobilità si possa tradurre in una rivoluzione del mercato. Mentre l’unica certezza attuale anzi è che le vetture a batteria ai costruttori costano una fortuna e per ora - e chissà ancora per quanto - non producono utili.

Nonostante questo, i primi frutti di quattro anni di lavoro sono già su strada - basti pensare all’Audi e-tron e alla Mercedes EQC, i due grandi Suv tedeschi a batteria - e al Salone di Francoforte debuttano, dopo anni di versioni concept realizzate per stuzzicare il pubblico, le versioni definitive di automobili definite dalle stesse Case “pietre miliari” della loro storia, come la Volkswagen Id.3, la prima elettrica (teoricamente) “popolare” che ha già raccolto 30 mila prenotazioni in Europa, la Taycan, primo prodotto totalmente a batteria del marchio Porsche, le prime Mini e Honda 100% elettriche (rispettivamente la Cooper SE e la E), oltre alla nuova Smart, ora solo e obbligatoriamente alimentata con la spina.

Da sola però l’auto “pulita” non potrà funzionare: «La guida di una vettura elettrica deve convenire al cittadino, altrimenti non si deciderà mai verso una mobilità a zero emissioni», ha detto il Ceo del gruppo Volkswagen, Herbert Diess, in un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, chiedendo aiuto a tutti i governi europei sotto forma di agevolazioni fiscali, e investimenti in infrastrutture capaci di garantire il rifornimento delle auto a batteria, con un fondo per l’elettro-mobilità.

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