martedì 5 aprile 2016
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È un parametro più importante di quanto si possa immaginare. Perché, al contrario di altri indicatori, non è fuorviante e rappresenta un termometro in grado di farci decifrare quanto la ripresa in corso sia veritiera. O, meglio ancora, ci dice quali benefici produce tale ripresa sull’economia reale. Parliamo del potere d’acquisto delle famiglie, che dopo otto anni di caduta nel 2015 è tornato a risalire. Secondo i dati diffusi dall’Istat è aumentato dello 0,8%. In pratica, significa che con la stessa quantità di denaro lo scorso anno si è potuto acquistare lo 0,8% in più di un identico bene (o servizio) rispetto al 2014. Ovviamente non siamo di fronte a un’impennata clamorosa, ma è un’inversione di rotta che conferma come il peggio (cioè la Grande Crisi) sia alle spalle. A questo dato si aggiungono anche altri segnali di miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie. Sempre nel 2015, il reddito disponibile delle famiglie consumatrici in valori correnti è cresciuto dello 0,9%, mentre la propensione al risparmio è risultata pari all’8,3% (invariata rispetto ai 12 mesi precedenti). Ancora stagnanti, invece, i profitti delle società non finanziarie: la quota è stata del 40,6%, inferiore di un decimale rispetto al 2014. È evidente: sulla risalita del 'reddito reale' incide tantissimo l’inflazione rasoterra. E se da una parte i prezzi ai minimi fanno bene alle tasche dei consumatori, dall’altra, per la Banca centrale europea, sono una spia da spegnere, in quanto potrebbero far ripiombare l’economia della zona euro in recessione. Tanto che Peter Praet, membro del board di Francoforte, non nasconde il pericolo. «Il prolungato periodo di bassa inflazione in cui ci troviamo ha aumentato i rischi che tale situazione possa diventare persistente e ciò potrebbe danneggiare l’economia – spiega Praet nel corso di una lezione alla Luiss –. È per questo motivo che abbiamo reagito con forza. Vogliamo raggiungere il nostro obiettivo (un’inflazione attorno al 2% ndr) e continueremo a farlo anche in futuro se necessario». Per l’esponente della Bce, insomma, rassegnarsi ad accettare un nuovo standard di inflazione più bassa rischierebbe di spingere l’economia verso la recessione. L’Istat comunica anche un aggiornamento del rapporto tra indebitamento netto e Pil, che nel 2015 è stato pari al 2,6% (0,4 punti). Il calo suscita soddisfazione nel governo e, in particolare, nel Tesoro. «Il debito pubblico è 'un mostro' che iniziamo a domare», afferma Pier Carlo Padoan, intervenendo al workshop sulle buone pratiche di finanza pubblica della Regione Lazio. Per il ministro dell’Economia il passivo finora «ha smesso di crescere, ma da quest’anno comincerà a scendere». Infine, rivendicando il lavoro già svolto dall’Italia e con una punta d’orgoglio, Padoan fa notare che il nostro Paese, «più di molti altri, se non di tutti gli Stati membri dell’Ue e della zona euro, ha fatto – e continua fare – sforzi di aggiustamento della finanza pubblica». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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