giovedì 25 maggio 2017
A confronto 140 esperti da tutto il mondo per la settimana "Work and Family conference". In Italia mancano politiche strutturali e obiettivi chiari
Conciliazione, Riva: «Serve una via italiana»
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Serve una via italiana alla conciliazione tra lavoro e famiglia. Per evitare che questo già difficile equilibrio, che oggi pesa quasi esclusivamente sulle spalle delle donne, si rompa e che il nostro Paese resti relegato in fondo alla classifica quando si parla di servizi alle famiglie e parità di genere. All’università Cattolica di Milano è in corso (sino a sabato 27 maggio) quella che può essere considerata la "biennale" della conciliazione: la settima "Work and Family Conference”, promossa dalla rivista “Community, Work & Family” che mette a confronto le esperienze di governi e aziende da ogni angolo del mondo: 140 partecipanti, docenti, economisti, sociologi che arrivano da oltre 60 paesi. Un importante momento di riflessione che arriva proprio durante la settimana del lavoro agile, iniziativa del comune di Milano che si propone di rendere "flessibile" l’orario e il luogo di lavoro. Egidio Riva, docente di Sociologia delle differenze e delle diseguaglianze alla facoltà di Scienze politiche e sociali, è convinto che serva una rivoluzione culturale ma soprattutto politica. L’Italia è indietro perché non ha saputo individuare delle priorità e adottare misure specifiche. La Francia ha puntato sul sostegno alla natalità, i paesi scandinavi sull’occupazione femminile. Da noi si è lasciato fare alle famiglie, senza intraprendere misure strutturali. E le conseguenze si vedono. Occupazione femminile al 48%, con una mamma su cinque che lascia il lavoro entro i primi due anni di vita del figlio.



Professor Riva, l’Italia non è un paese per le mamme lavoratrici, perché?
L’IItalia è un paese molto arretrato e soprattutto con gravi disparità di genere. Inoltre è un paese sempre più vecchio dove le famiglie si trovano ad affrontare i problemi legati alla cura dei figli piccoli ma anche degli anziani non autosufficienti. E nella maggior parte dei casi gli uomini si rifiutano di svolgere questo compito di cura.

Qual è la principale lacuna del sistema Italia?
Sicuramente la mancanza di obiettivi. Siamo rimasti fermi a trent’anni fa. La politica italiana non ha affrontato il problema dell’occupazione femminile e della conciliazione da un punto di vista complessivo, pensando ad elaborare strategie a lungo termine. Se non si individua quale è l’obiettivo non si possono fare le misure adatte per raggiungerlo. Se si vuole aumentare il numero di donne che lavorano ad esempio, si devono potenziare i servizi come gli asili nido. Se si vuole una reale parità nell’accudimento dei figli si deve riformare il sistema dei congedi parentali. L’impressione è che invece si proceda senza una meta.

Da Berlusconi a Renzi invece la misura più adottata sembra quella dei bonus, servono a qualcosa?
In effetti anche gli ultimi due governi hanno insistito su misure a pioggia che sono più che altro simboliche e che in un momento come questo, di penuria di risorse, rischiano di essere poco incisive. Il rischio è, per dirla con don Milani di fare "parti uguali tra diseguali".

Quali sono le diseguaglianze più forti nel nostro Paese?
Sono molte: quelle di genere, che vedono le donne penalizzate sul lavoro, ma anche quelle legate al territorio. I tassi di occupazione e i livelli di retribuzione tra Nord e Sud del paese sono evidenti, così pure la disparità a livello di servizi. Inoltre c’è da dire che in Italia non funziona l’ascensore sociale. Ed è dimostrato che le famiglie dove la donna non lavora sono quelle a maggior rischio povertà. Gli effetti di una più ampia partecipazione delle donne al lavoro sono evidenti non solo sul fronte del Pil, ma anche della salute. Nel corso del convegno ad esempio verrà analizzato anche questo tema.

Cosa possono fare le aziende per aiutare la conciliazione?

Di certo possono introdurre forme di flessibilità ma anche in questo caso non dimentichiamo che ci sono forti differenze e disparità tra le grandi aziende dove è possibile e il tessuto delle piccole e medie aziende, spesso a conduzione familiare, dove invece è impossibile per motivi organizzativi.

In Italia persino i quattro giorni di congedo paternità sono diventati un pasticcio.
Anche questo alla fine è un provvedimento simbolico, fatto per fare notizia. Non sono certo quei quattro giorni (misura operativa dal 2018, ndr) che faranno la differenza quando poi il resto dell’anno solo le donne a doversi far carico dell’assistenza. Il problema è capire dove si vuole andare: poi si traccia la strada.

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