martedì 19 giugno 2012
​Indagine di Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi: italiani disorientati, ancora pochi quelli che sottoscrivono fondi pensione.
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​Gli italiani non sono più un popolo di formiche. Colpa dei redditi sempre più bassi, della crisi che si mangia tutto, del lavoro che non c’è. È l’istantanea del risparmio scattata da Intesa Sanpaolo e dal Centro Einaudi di Torino con un’indagine che non lascia spazio a dubbi: le cicale non hanno vinto, ma le formiche segnano il passo.Secondo l’indagine, presentata ieri a Torino, la crisi ha colpito duro: solo il 15,2% degli intervistati ha dichiarato di non avere avuto alcun impatto, mentre il 46,2% ha intaccato i risparmi. Nonostante tutto, «il risparmio è un comportamento ritenuto ampiamente utile o indispensabile dalla maggioranza del campione». Ma l’accesso al risparmio segna nel 2012 il minimo storico: i non risparmiatori raggiungono il 61,3% (52,8 nel 2011), e chi risparmia arriva appena al 38,7%. E ad avere più problemi sono i ventenni, i residenti nel Sud e nelle grandi città, le famiglie con reddito mensile inferiore a 1.600 euro.Se questi sono i numeri complessivi, la ricerca ha indagato anche i motivi che portano a mettere da parte, quando si può, i soldi. In picchiata è l’acquisto della casa (che ormai conta per il 5,5% circa); toccano invece il massimo le motivazioni ereditarie o di trasferimento di parte della ricchezza ai figli. Anzi, il 19,5% risparmia per aiutare le nuove generazioni e pagare loro gli studi. In lenta crescita negli anni la motivazione a integrare la pensione (12,8% nel 2012 e 9,3 nel 2005).Proprio in tema di pensioni, Intesa e Centro Einaudi indicano che crisi e riforma previdenziale fanno scendere anche dal 26 al 20,5% il saldo sulle aspettative di sufficienza e insufficienza delle entrate alla pensione. Ma «la quota di sottoscrittori di un fondo pensione - dice l’indagine - è ancora solo del 10,5%». E quasi la metà del campione dichiara che investire è diventato più difficile rispetto al 2011.Sulle cause, Andrea Beltratti, presidente del Consiglio di gestione di Intesa, ha però spiegato: «Dobbiamo fare molta attenzione a lasciare che si pensi che l’euro sia causa di tutti i mali. La causa dei nostri mali siamo noi stessi, sta nelle scelte sbagliate che abbiamo fatto e che facciamo, ma certamente non nell’euro».Mentre Gregorio De Felice, Chief economist di Intesa, ha sottolineato che «il tema dominante della ricerca è il disorientamento delle famiglie e la loro difficoltà nel guardare al futuro. Insieme al rigore, occorre accelerare su riforme ed equità nella distribuzione dei sacrifici ed equità tra le generazioni. È necessario favorire un ritorno di fiducia».Una fiducia che, tuttavia, stenta a farsi largo in un contesto che mette a confronto genitori, figli e nipoti su come andare avanti. Proprio l’edizione 2012 dell’indagine sul risparmio dice che «la crisi dei bilanci familiari non è finita» e parla chiaro: «Mentre l’Europa deve costruire una nuova governance dell’euro, l’Italia deve impostare investimenti migliori e più produttivi e le famiglie devono fare i conti con il ritorno a un’austerità dei consumi, con la necessità di lavorare di più e più a lungo, pagando un’aliquota fiscale mediamente maggiore. Il 2011 chiude un’epoca di consumi probabilmente eccessivi, ma per aprirne una nuova non si può che partire dai sacrifici».
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