mercoledì 11 agosto 2010
Il comitato direttivo della banca centrale americana decide di intervenire un’altra volta per rinvigorire la crescita economica reinvestirà in bond del Tesoro i soldi che incassa dai titoli garantiti dai mutui. Il rischio, dice la Fed di San Francisco, è il ritorno di una crisi profonda. L’Autorità monetaria ha confermato il costo del denaro fra lo 0 e lo 0,25%.
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A Ben Bernanke non restavano molte carte anti-crisi da giocare. I tassi della Federal Reserve sono stati azzerati alla fine del 2008 e sotto lo zero non possono andare, mentre il bilancio della banca centrale americana è stato già gonfiato abbastanza con il Talf, il piano da 1.250 miliardi di dollari per l’acquisto di titoli garantiti dai mutui, che si è concluso a marzo. Tutto questo però non è bastato a garantire all’America una ripresa vigorosa. E allora, ai tanti che gli chiedevano fare qualcosa di più, di dare una frustata al cavallo del Pil, il presidente della Fed e gli altri undici membri del Federal Open Market Committee – il comitato direttivo della banca centrale – hanno offerto un altro sforzo: reinvestiranno in titoli di Stato americani i ricavi degli asset garantiti dai mutui acquistati dalla Fed. Una soluzione (passata con il solo voto contrario del capo della Fed del Kansas) che dovrebbe servire a dare liquidità a un’America che fatica a riprendersi.Il presidente Bernanke, che solo una settimana fa aveva diffuso una nota abbastanza ottimistica sulla situazione dell’economia, ha dovuto ammettere che il ritmo della ripresa è comunque «rallentato» ed è più lento «del previsto», che i consumi delle famiglie non aumentano abbastanza, che le aziende «continuano ad essere riluttanti ad assumere», che il mercato immobiliare «rimane depresso» e che il credito bancario «ha continuato a contrarsi». Ammissioni doverose, dato che le ultime due settimane sono state ricche cattive notizie economiche per l’America: il 30 luglio il dato sulla crescita degli Stati Uniti nel secondo trimestre dell’anno è stato corretto al 2,4% rispetto al 2,6% previsto; il 6 agosto sono arrivate le cifre sul lavoro, con altri 131mila posti persi a luglio e meno persone assunte rispetto a quanto ci si aspettasse. Un fallimento. Tanto che Christina Romer, il principale consigliere economico di Obama, si è dimessa per gli scarsi risultati raggiunti. Questa ripresa «assomiglia molto a una quasi-recessione» ha commentato, perfido, l’ex capo della Fed, Alan Greenspan. E di «significativa» possibilità di un rientro degli Stati Uniti nelle secche della recessione ha parlato anche uno studio della Fed di San Francisco diffuso lunedì. Ieri l’ultimo brutto dato: la produttivià, a sorpresa, è scesa dello 0,9% nel secondo semestre.Le cose, insomma, stavano andando abbastanza male da lasciare nascere a Wall Street l’aspettativa di una nuova mossa da parte della Fed. Bernanke aveva in mano tre carte da giocare. Ha scartato le prime due: l’affermare con più decisione che i tassi resteranno a livelli «eccezionalmente bassi» per un «periodo esteso» (e invece il Fomc ha confermato, assieme ai tassi, questa formula) e azzerare il tasso che la Fed paga sulle «riserve in eccesso», i soldi che le banche le affidano quando non sanno dove investirli (e invece lo ha lasciato allo 0,25%). Bernanke ha scelto di giocarsi il reinvestimento dei soldi ricavati dai titoli del Talf – sigla che sta per Term Asset-Backed Securities Loan Facility –, la soluzione più incisiva tra quelle possibili in questo momento: comprando titoli di Stato – pur lasciando invariato il bilancio della Fed, che reinvestirà i ricavi ma non tirerà fuori nuovi soldi – il governatore spera di fornire al sistema la liquidità indispensabile per farlo girare.
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