sabato 5 luglio 2014
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Mentre gli stolti guardano alle parole grosse che volano tra Roma e Berlino, i saggi hanno puntato il dito verso i due appuntamenti cruciali della prossima settimana: l’Eurogruppo di lunedì e l’Ecofin di martedì. Protagonista, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che dovrà spiegare cosa vuole l’Italia da questo semestre prima ai colleghi dell’area-euro e poi ai 27 titolari del Tesoro dei Paesi membri. E mano a mano che proseguono i colloqui informali in vista dei vertici decisivi, l’obiettivo si schiarisce: Roma vuole un meccanismo chiaro per cui all’avvio, all’implementazione e alla realizzazione delle riforme strutturali (istituzionali, fiscali, relative alla pubblica amministrazione e alla giustizia civile) consegua un rallentamento del piano di rientro dell’enorme debito pubblico. Perché le riforme costano, e questo costo va stornato dal calcolo del deficit e reinvestito in crescita (magari escludendo dal vincolo del 3 per cento il cofinanziamento nazionale ai fondi Ue, oppure liberando risorse per infrastrutture e politiche occupazionali).Il nuovo presidente in pectore della Commissione, il popolare Jean-Claude Juncker, presterà grande attenzione a cosa si diranno i ministri del Tesoro europei. È lì, in quella sede, che si decidono i decimali di flessibilità di cui potrà godere "chi lo merita". Se Padoan e il tedesco Schaeuble continueranno a camminare sulla stessa lunghezza d’onda come dimostrato sinora, l’investitura del Parlamento europeo è da dare per scontata.Ma sino a quando Renzi e il nostro ministro del Tesoro non avranno la certezza che la parola "flessibilità" avrà una declinazione concreta, l’ex premier lussemburghese sostenuto da Angela Merkel sarà costretto a camminare su un campo minato. Il presidente del Consiglio italiano, infatti, è riuscito a Strasburgo in un piccolo "miracolo": i parlamentari italiani sono tutti con lui, sia i popolari sia i socialisti, ed è da considerare scontato il "no" a Juncker dei grillini e delle altre componenti entrate nell’Europarlamento. Insomma gli italiani, pur non essendo completamente decisivi ai fini numerici, politicamente possono rafforzare o indebolire moltissimo il nuovo presidente della Commissione.Non è un caso se le consultazioni di Juncker con i gruppi parlamentari inizieranno dopo l’Eurogruppo e a cavallo con l’Ecofin. Le due cose si tengono. Al momento il fronte del Ppe è tutt’altro che coeso, i parlamentari popolari del Sud Europa non si riconoscono nelle posizioni manifestate dal capogruppo tedesco Weber e sono pronti a trarne le conseguenze, almeno a parole. I neo-eletti a Strasburgo del Pd, poi, hanno già fatto intendere di non dare per scontato il «sì» al nuovo presidente della Commissione sino a quando non avranno garanzie, e in queste ore stanno facendo grosse pressioni sui colleghi tedeschi del Pse perché non si appiattiscano sulle posizioni rigoriste della Bundesbank.Le consultazioni di martedì del presidente in pectore  - che coinvolgeranno anche le opposizioni - saranno il preambolo del voto in aula, anticipato di 24 ore al 15 luglio. A Juncker servono 376 «sì», l’asse popolari-socialisti-liberali, in teoria, ne porta 479. Dopo, partirà la trattativa per la composizione della Commissione. Al momento, il grande problema è rispettare la parità di genere invocata da Renzi e accettata dagli altri leader nel Consiglio Ue di fine giugno. Oltre la candidatura della Mogherini per la politica estera comune, pochissimi capi di Stato e di governo hanno segnalato "nomi rosa" per le poltrone europee.
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