mercoledì 27 gennaio 2021
I dati sono tratti dal volume a firma di Francesco Del Pizzo, Stefania Leone, Emiliano Sironi dal titolo “Giovani del Sud. Limiti e risorse delle nuove generazioni nel Mezzogiorno d’Italia”
Resta difficile la questione giovanile al Sud

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Nel Mezzogiorno sono quasi quattro volte in più i giovani fuoriusciti dalla formazione e dal lavoro rispetto a quelli del Nord-Est (30,1% vs 9,2%) e le donne raggiungono la quota massima italiana del 33,1% (Istat 2019). Su questa base si innesta la riflessione su una visione del lavoro che, per oltre il 90% dei giovani, è centrata sulla possibilità di avere un reddito, ovvero pragmaticamente una condizione di indipendenza e la possibilità di affrontare futuro e famiglia. I giovani del Sud conservano più forte il valore del lavoro come autorealizzazione e riconoscimento sociale e un’aspirazione al successo (+10% rispetto al Nord); ne consegue minore sofferenza per la fatica e lo stress lavorativo (-12%). Contro la critica stereotipata a giovani meridionali ritenuti resistenti a lasciare il luogo d’origine, l’indagine mostra più elevata propensione alla mobilità per lavoro tra i giovani del Sud, specie laureati (9,5% vs 20,5% Nord). I dati sono tratti dal volume a firma di Francesco Del Pizzo, Stefania Leone, Emiliano Sironi dal titolo Giovani del Sud. Limiti e risorse delle nuove generazioni nel Mezzogiorno d’Italia, edito da Vita & Pensiero (2020), con il contributo dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori.

«I significati che i giovani attribuiscono al lavoro rivestono importanza su due piani distinti - spiega Stefania Leone, docente di Sociologia all'Università di Salerno e componente dell'Osservatorio Giovani Istituto Toniolo nazionale (dal 2017) e Osservatorio Sud (dal 2019) -. Il primo riguarda l’obiettivo di comprendere anche attraverso la visione del lavoro – da sempre spazio centrale della formazione identitaria - come cambia la società, quali valori e idee prevalgono nell’agire degli individui e nel vivere sociale e quali obiettivi definiscono le prospettive di una società in un certo contesto. Il secondo riguarda l’interesse ad osservare se e come da questi aspetti di percezione possano dipendere anche concretamente scelte di percorso di un certo tipo o persino atteggiamenti di rinuncia a cercare lavoro, come accade per parte dei Neet. Nelle analisi sui dati occupazionali molti indicatori quantitativi rivelano fenomeni spesso gravi e diffusi per i quali si indagano le condizioni strutturali dei contesti di riferimento; attraverso le dimensioni qualitative inerenti rappresentazioni e valori attribuiti al lavoro possono emergere, come in questo caso, priorità percepite e spinte quali il desiderio di affermazione e la ricerca di riconoscimento sociale che danno conto di questioni meno evidenti ma non meno rilevanti. Tale varietà di indicatori amplia le chiavi interpretative e anche la conoscenza di base per successive riflessioni di politiche pubbliche».

«La questione del lavoro al Sud va collocata all’interno di fenomeni alquanto complessi - chiarisce Francesco Del Pizzo, docente di Sociologia e Dottrina Sociale della Chiesa alla Ponficia Facoltà Teologica dell'Italia meridionale sez. S. Tommaso Napoli e coordinatore dell'Osservatorio Giovani Sud Istituto Toniolo -. In particolare modo è evidente il cortocircuito tra domanda e offerta di lavoro oltre che un rilevante abbandono scolastico con una sorta di sfiducia nel valore della formazione culturale e di conseguenza la rinuncia a reali e possibili opportunità di inserimento nel mercato del lavoro. È proprio il difficile ingresso, dopo la fine degli studi, nel mondo del lavoro e quindi il raggiungimento di una certa autonomia e il bisogno di occupazione a determinare la maggiore propensione dei giovani del Sud, rispetto a quelli del Nord a spostarsi dai luoghi di residenza per migliorare le proprie condizioni materiali ed emotive. La questione dell’esodo dei giovani dal Sud non può non richiamare la questione di come la famiglia risenta, ulteriormente, del declino demografico con una inversione di paradigma: mentre un tempo era il padre a partire per il Nord, oggi sono giovani diplomati e laureati ad emigrare anche verso il Nord Europa. Stando ai dati Svimez del Rapporto 2018 negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883mila residenti, la gran parte giovani tra i 15 e i 34 anni. Probabilmente la pandemia che stiamo vivendo apre nuovi scenari, tanti giovani sono rientrati denotando un senso di appartenenza e di vicinanza affettiva con i luoghi di origine nonostante, per scelta o per imposizione, costretti a trasferirsi altrove per trovare degli sbocchi formativi e occupazionali di successo. Su questa base, uno sviluppo della prospettiva del south working, come nuovo fenomeno di trasferimento o rientro in un Sud al fine di migliorare il proprio benessere da parte di persone abitanti nelle aree del Centro-Nord, potrebbe interrompere i processi di de-accumulazione di capitale umano al Meridione, specie investendo in politiche di attrazione di competenze con interventi mirati quali incentivi fiscali e servizi per famiglie, lavoro e digitale. Non solo, il Meridione è ricco di risorse naturali, artistiche e paesistiche che in una logica di rete potrebbero costituire la cifra di una nuova economia e di un nuovo modo di intendere il lavoro, oltre che di una formazione professionale rivolta alla valorizzazione e alla cura dei territori».


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