mercoledì 30 maggio 2018
I Sistemi di performance management (Spm) sono diffusi nel 70% circa delle aziende intervistate - in particolare nelle grandi imprese - e interessano circa il 70% dei lavoratori
Digitalizzazione e valutazione del personale
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La digitalizzazione del lavoro, dell’organizzazione e delle relazioni di lavoro influenzerà anche i sistemi di valutazione del personale adottati dalle aziende. Questo fenomeno porterà molteplici risultati basati sulla comprensione della trasformazione digitale a cui stiamo assistendo in questi ultimi anni. Questo uno dei principali focus della ricerca realizzata da Fondazione Marco Biagi in sinergia con la Scuola di Dottorato E4E (Engineering for Economics/Economics for Engineering) dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, in collaborazione con Jobpricing e con il supporto di Etjca – Agenzia per il lavoro, Fiordirisorse e Hrc, che ha scelto di indagare i sistemi di performance management (Spm) utilizzati nelle aziende italiane.

«Siamo particolarmente soddisfatti di questa prima fase della Ricerca - spiega il professor Tommaso Fabbri della Fondazione Marco Biagi, coordinatore scientifico del progetto - perché crediamo che già i feedback di questo primo Report possano aiutare concretamente aziende e lavoratori a focalizzarsi maggiormente sui Sistemi di Performance Management: una risorsa sempre più utile per aumentare la qualità delle prestazioni delle aziende e, al contempo, aiutare i lavoratori a essere più consapevoli delle proprie potenzialità e degli strumenti a disposizione per il raggiungimento degli obiettivi personali e professionali. Siamo di fronte a un tema particolarmente caldo per tutti coloro che lavorano nelle Risorse Umane».

I sistemi di perfomance management (Spm) sono molto importanti per comprendere le tendenze in atto nelle aziende, rispetto a tre piani su cui l’impatto della trasformazione digitale è potenzialmente più dirompente: il piano del disegno (macro) organizzativo, in quanto le nuove tecnologie digitali permettono di gestire maggiori complessità, con minori livelli gerarchici, quello del disegno della prestazione, che le nuove tecnologie permettono di destrutturare in termini spaziali e temporali, e il piano della leadership, che è sempre più in una fase di trasformazione.

Nei Spm in uso nelle aziende italiane è possibile intravedere le caratteristiche del nuovo modo di lavorare, organizzare e supervisionare il lavoro. Le nuove tecnologie digitali stanno trasformando le organizzazioni verso modelli meno gerarchici, più agili e auto-organizzati.

I dati a oggi disponibili (IV Indagine sulla qualità del Lavoro in Italia, 2015) evidenziano una scarsa diffusione in Italia dei Spm, che tendono a essere maggiormente presenti nelle grandi aziende. È per questa ragione che nel 2017 la Fondazione Marco Biagi ha deciso di realizzare un Osservatorio Permanente sul Performance Management, la cui prima ricerca è stata realizzata su un campione di 143 imprese e 1.250 lavoratori (di cui 181 “somministrati”).

La ricerca, condotta tra il 2017 e il 2018, ha adottato una doppia focale, rilevando il punto di vista delle aziende e dei lavoratori. Alle aziende è stato chiesto di descrivere finalità, caratteristiche e utilizzi dei Spm in uso, unitamente alla volontà di apportare delle modifiche, ai lavoratori è stato domandato di descrivere le caratteristiche e gli utilizzi del Spm in azienda unitamente al proprio percepito e alle principali criticità rilevate.

Dalla ricerca è emerso che i Spm sono diffusi nel 70% circa delle aziende intervistate e interessano circa il 70% dei lavoratori intervistati. L’adozione di un Spm è prevalente nelle organizzazioni di maggiori dimensioni, anche se il 40% delle piccole imprese vorrebbe implementarlo entro due anni. I Spm interessa principalmente Dirigenti e Quadri e solo per il 30% gli Operai. Mentre appena il 15% delle aziende dichiara di estenderne l’applicazione ai lavoratori somministrati, circa il 67% dei lavoratori somministrati dichiara che la propria prestazione professionale è valutata dall’azienda presso cui lavora.

«Grazie alla collaborazione con Etjca abbiamo potuto osservare le modalità di valutazione dei lavoratori somministrati, che – continua Fabbri - sono un ambito particolarmente interessante in quanto la peculiarità della loro prestazione, sia in termini spaziali che in riferimento alla datorialità, potrebbe anticipare alcuni aspetti del lavoro “del futuro”, cioè il lavoro digitale».

La finalità principale del Spm, per la maggioranza delle aziende intervistate (55%) è il miglioramento della performance professionale; la seconda è il miglioramento del rapporto capo/collaboratore.

Nella maggior parte delle aziende la definizione degli obiettivi è affidata al capo diretto (65%), e a lui spetta anche la valutazione (nel 97% dei casi). Il criterio più utilizzato per valutare la performance professionale è il risultato (dichiarato come il criterio più importante dal 62% delle aziende intervistate). Il secondo criterio è quello delle competenze (indicato dal 40% delle aziende). Il criterio meno utilizzato è il tempo (per il 70% delle aziende).

Nelle dichiarazioni dei lavoratori, specularmente, il principale criterio (per il 70% degli intervistati) di valutazione della loro performance è il risultato ottenuto rispetto agli obiettivi stabiliti. Al secondo posto (per il 45% degli intervistati) le competenze e al terzo (per il 40% degli intervistati) il tempo. Se si confrontano i criteri utilizzati dalle aziende per valutare la prestazione professionale con quelli utilizzati dai lavoratori per descrivere “un lavoro ben fatto”, si ottiene un ranking molto simile: al primo posto c’è il “raggiungimento dei risultati richiesti” (per il 75% degli intervistati), seguito da “ho le competenze adeguate” (per il 50% degli intervistati).

Circa il 70% delle aziende intervistate dichiara che il proprio Spm è collegato a un sistema di incentivazione economica; allo stesso modo, oltre il 60% dei lavoratori intervistati, afferma che la propria retribuzione è legata alla valutazione della propria prestazione professionale.

È stato rilevato inoltre che solo il 15% delle aziende intervistate ha adottato una modalità formale di rilevazione del gradimento del sistema da parte degli utilizzatori; di contro però circa l’80% dei lavoratori dichiara che la valutazione impatta positivamente sulla performance professionale. Un dato decisamente interessante per coloro che operano nel campo dell’Hr.

Le criticità dei Spm più citate dai lavoratori intervistati sono “il fatto che meritocrazia, trasparenza e chiarezza siano solo sulla carta” (quasi il 45%), la mancanza di un piano di miglioramento dopo la valutazione (quasi il 40%) e il fatto che gli obiettivi non siano definibili in modo oggettivo (oltre il 30%). Sul versante aziende, circa il 60% dichiara l’intenzione di apportare cambiamenti al proprio Spm nei successivi 12 mesi, ma in direzione non rispondente alle criticità rilevate dai lavoratori.

Per indagare su quanto i Spm contribuiscano alla qualità della relazione lavoratore-azienda, è stato analizzato anche l’impatto delle caratteristiche dei Spm sull’equità percepita dai lavoratori, sia relativamente allo strumento/modalità di valutazione della propria performance, sia rispetto all’esito della valutazione. Dall’analisi emerge che i principali determinanti dell’equità di un Spm sono il coinvolgimento nella definizione degli obiettivi e il concentrarsi sulle competenze, sia quelle già acquisite sia quelle sviluppate ex novo. Questo sottolinea che il lavoratore di oggi tende a gradire gli strumenti organizzativi e gestionali che impattano in modo positivo sullo sviluppo della propria professionalità, con una attenzione particolare verso il futuro.

»La ricerca - conclude Fabbri - ha contribuito a delineare numerosi spunti di sviluppo per i professionisti delle Risorse Umane e rappresenta un ottimo inizio per l’Osservatorio Nazionale Permanente sul performance management che qui pone le sue basi per ulteriori studi previsti nel biennio 2019-2020».

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