giovedì 7 agosto 2014
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Nel 2012 abbiamo fatto meno 2,4 per cento, nel 2013 meno 1,8. Nei primi sei mesi del 2014 siamo a meno 0,3... Ora dobbiamo invertire la rotta, ma dipende solo da noi». Matteo Renzi prova a mettere in fila i numeri per esorcizzare lo spettro della recessione. Ma per far sì che l’Italia ce la faccia ci vuole il tempo giusto, ripete il presidente del Consiglio: quei «mille giorni» che scatteranno dal 1° settembre prossimo. È una mattina complicata: il dato sul Pil arriva mentre è ancora in corso il terzo incontro con Berlusconi e il governo si muove per organizzare la replica. Le telefonate si accavallano con un solo obiettivo: mettere a punto una linea condivisa. Sono tre i pilastri della difesa governativa e tre gli uomini di governo chiamati a far calare l’allerta. Pier Carlo Padoan batte un primo colpo davanti ai tg: «Non ci saranno manovre aggiuntive per il 2014, e il bonus di 80 euro sarà confermato anche nel 2015». Poi tocca a Graziano Delrio: «Non c’è bisogno di allarmarsi. Questo secondo trimestre era abbastanza scontato che avesse un’inerzia simile al primo; sono più preoccupato del dato complessivo europeo». Nessuna parola è scelta a caso. Renzi sente il Tesoro, chiama i suoi collaboratori più ascoltati, si confronta con lo staff economico. Poi sottovoce ripete la linea: «La strategia è giusta, la linea è giusta. Non si cambia, si accelera sulle riforme». Quelle parole diventano il cuore di una lettera del premier ai parlamentari della maggioranza, messa sul sito del governo. «L’Italia ha tutto per farcela e per uscire dalla crisi. Ma deve cambiare. Se non cambia, il quadro sarà sempre negativo. Avanti allora, con ancora maggiore decisione. Senza incertezze, senza paure, senza frenate. Il processo di riforme è partito. Procede. È iniziato un percorso senza ritorno».  Ma la scadenza resta lunga: «A chi tra noi dice che deve cambiare l’Europa, più che l’Italia, rispondo con rispetto che possiamo cambiare l’Europa solo se facciamo bene a casa nostra. I "MilleGiorni" sono un arco di tempo che consente una strategia globale». Insomma: non possono esserci conigli da tirar fuori dal cilindro per affrontare questa nuova ondata, ci vuole anche pazienza.Ma è il Renzi privato a far capire di più la determinazione che c’è a Palazzo Chigi. «Non è il dato di un trimestre che può indebolire un governo, non è un meno 0,2 a farci rivedere la strategia. Noi abbiamo fatto una scommessa su un orizzonte lungo, ma già nel prossimo semestre il lavoro che abbiamo fatto darà risultati». Si cerca di far emergere ottimismo, fiducia. Renzi sposa in pieno la scelta mediatica di Padoan. «Giusto chiarire che non ci sarà nessuna manovra nel 2014. Non siamo nati per mettere le tasse e non le metteremo mai. Ce la faremo con i tagli alla spesa». Ecco il punto decisivo: la spending review. Renzi insiste: «Ci hanno detto che è una questione tecnica. Ma è una finzione. La scelta di cosa tagliare e cosa non tagliare è la suprema scelta politica. La spending è questione politica, che non possiamo rinviare. Ci siamo dati obiettivi che manterremo».Le parole sono nette, ma dietro i ragionamenti avanzano minacciosi dubbi e interrogativi. E se non ci fosse un’inversione di rotta? E se il Pil su base annua si attestasse a quota meno 0,3 per cento? Renzi-Padoan-Delrio non vogliono confrontarsi con i "se", ma a Palazzo Chigi tutti sanno quali sono i rischi che si agitano dietro i numeri. La differenza tra un meno 0,3 e il più 0,8 previsto significa per il governo trovare tra i sei e gli otto miliardi aggiuntivi. È su questo nodo che Renzi si interroga in queste ore dove ripete, quasi meccanicamente, due parole: «Mai tasse». La strada è: i tagli alla spesa. Ma non bastano. Sono almeno 20 i miliardi che serviranno a ottobre: le entrate che si perdono, 10 miliardi per rifinanziare il bonus degli 80 euro (e senza nessuna estensione), poi altri 3-4 miliardi per le altre voci "indifferibili": le missioni all’estero, la Cig in deroga, il 5 per mille... E se - come pare - i tagli alla spesa non dovessero bastare, l’unica carta che potrà giocare il governo è far lievitare il rapporto deficit/pil dal 2,6% fino a un pelo sotto il limite del 3. Ma per fare questo ci dovrà essere un via libera della prossima Commissione europea. Questa è un’altra partita che, ora dopo ora, diventa più attuale. Ma sulla quale Renzi, però, è ancora prudente.
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