mercoledì 6 marzo 2019
Con 1,3 miliardi di euro in tre anni l’organico può passare da poco più di 8mila dipendenti a 13.600 mantenendo così il carico individuale a 95 destinatari di Rdc e 213 persone in cerca di lavoro
Reddito di cittadinanza, il sistema pubblico o si riforma o collassa
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Il sistema pubblico che dovrebbe permettere l’erogazione del reddito di cittadinanza (Rdc) oggi non è adeguato a sostenere un simile impegno: se non sarà potenziato e riorganizzato in breve tempo rischia il collasso. Per far partire la complessa macchina amministrativa che lo dovrà gestire, l’Italia si accinge a compiere un grande investimento che in tempi rapidi è chiamato a trasformare un fragile insieme di amministrazioni centrali e locali in una rete capace lavorando come un sistema integrato, di far uscire oltre 1,3 milioni di famiglie da uno stato di povertà assoluta, per farle entrare nel mercato del lavoro. Per gestire al meglio i 20 miliardi di euro che saranno erogati nel triennio alle famiglie in situazione di povertà, il Paese si prepara a investire complessivamente circa 3,4 miliardi di euro tra il 2019 e il 2021 per potenziare Centri per l’Impiego (Cpi), i Servizi sociali dei Comuni, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal), l’Inps, i Centri di assistenza fiscale (Caf) e il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali tra inserimento di personale, aggiornamento delle competenze necessarie a seguire i destinatari nei percorsi di “uscita dalla povertà”, formazione per la gestione delle nuove procedure, potenziamento dei sistemi informativi e integrazione delle banche dati, comunicazione. Insomma, per riformare profondamente tutto il sistema delle politiche attive del lavoro a oggi frammentato e poco efficace. Tra queste risorse, 1,3 miliardi di euro in particolare saranno destinati a rafforzare i Cpi, 501 uffici per 8000 dipendenti, a cui dalla primavera con il Rdc si rivolgeranno tra 1,3 milioni e 1,7 milioni: se anche solo una persona per nucleo familiare sarà chiamata a colloquio, ciascun operatore dovrebbe seguire complessivamente 521 persone. Solo con i nuovi investimenti a regime, l’organico dei Cpi potrebbe arrivare a 13.600 dipendenti, per cui ciascun operatore si troverà a gestire 95 destinatari di Rdc e 213 persone in cerca di lavoro. Lo rivela la ricerca Reddito di cittadinanza: siamo pronti? di Fpa Data Insight, centro studi sulla Pubblica Amministrazione di Fpa, società del Gruppo Digital360, che ha analizzato tutti i numeri utili per capire quanto e come l’Italia sta investendo per questa misura e cosa fare affinché il sistema non si inceppi.

«Quella del Rdc è una sfida enorme, ma anche una grande opportunità di rafforzamento dei Cpi e in generale dei servizi pubblici - commenta Gianni Dominici, direttore generale di Fpa -. I 3,4 miliardi di euro per potenziare gli enti coinvolti rappresentano un investimento significativo, che però richiede di essere accompagnato da un ridisegno della macchina organizzativa: allo stato attuale, il sistema che dovrebbe permettere l’erogazione del Rdc, insieme a servizi di orientamento, formazione, inclusione e ripresa del lavoro non risulta adeguato. Il successo o meno di questa sfida dipenderà da come verranno spesi i soldi: se non ci sarà una riforma complessiva del sistema, con una efficace azione di accompagnamento, c’è il rischio che le risorse si rivelino sprecate. Un altro settore importante su cui investire è il sistema informativo del lavoro, che dovrebbe diventare davvero interoperabile e utilizzare le tecnologie più attuali per la gestione e l’analisi dei dati. Solo così si potranno prendere decisioni ragionate e si potrà monitorare l’effetto delle misure adottate».

L’investimento più alto per accendere i motori del Rdc è legato al potenziamento dei Cpi per i quali verranno spesi 900 milioni di euro, più 440 milioni di euro corrisposti alle Regioni per il reclutamento del personale. Un’operazione che complessivamente supera 1,3 miliardi di euro, non più procrastinabile: la fragilità dei Cpi è conseguenza del susseguirsi di riforme incomplete. Oggi i 501 Cpi italiani contano poco più di 8mila dipendenti, con 359 contatti medi per ogni addetto e appena lo 0,7% di chi vi si è rivolto nell’ultimo anno ha ricevuto un’offerta di lavoro. Basandosi sulle stime del Rdc, dalla primavera dovranno passare dai Cpi tra 1,3 milioni e 1,7 milioni di persone: se anche solo una persona per nucleo familiare fosse chiamata a colloquio il carico di ciascun operatore passerebbe da 359 a 521 persone da seguire. Bisogna poi affrontare la riqualificazione del personale, che in maggioranza (il 56%) ha un diploma di scuola secondaria di secondo grado e solo il 29% istruzione universitaria, con età medio-avanzata e funzioni tipicamente amministrative/gestionali, mentre altre figure chiave sono svolte da personale esterno a supporto. Gli operatori lamentano oggi difficoltà strutturali dell’assenza di banche-dati per l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro e software obsoleti che ostacolano il lavoro invece di agevolarlo.

L’investimento previsto permetterebbe di incrementare la dotazione organica dei Cpi di 4mila unità, a cui aggiungere i 1.600 operatori già previsti dal Piano di Rafforzamento adottato nel dicembre 2017 in Conferenza Unificata. L’organico dei Cpi passerebbe in tre anni dagli attuali 8mila operatori a 13.600, per cui ciascun operatore si troverà a gestire 95 destinatari di Rdc e avremo un operatore ogni 213 persone in cerca di lavoro.

«È difficile pensare che entro l’anno, senza un accordo ancora definito con le Regioni, queste cifre possano diventare effettive, ma quella del Rdc è un’occasione irrinunciabile di rilancio per i Cpi che ci può consentire di avvicinarci alle nazioni europee vicine - rileva Dominici -. Se queste previsioni andassero a regime, infatti, il personale supererebbe quello della Spagna, dove il Sepe ha un organico di circa 9.200 dipendenti, pur restando a distanze siderali dalla Germania, che ha 115mila unità, dal Regno Unito con 78mila unità e dalla Francia con 49mila addetti per i loro Cpi.

Alla guida della macchina amministrativa del Rdc c’è il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali che dovrà occuparsi di mettere in piedi e gestire il Sistema informativo unitario dei servizi sociali (Siuss), curare la comunicazione istituzionale sul programma e monitorarne l’attuazione. L’investimento a bilancio è di due milioni di euro l’anno per tre anni. Al fianco del ministero, c’è l’Anpal che dovrebbe facilitare l’accordo tra i diversi attori istituzionali, ma allo stato attuale con l’85% del personale “a scadenza” non è strutturata per il ruolo strategico attribuito di selezionare e contrattualizzare i “navigator”, sviluppare le competenze degli operatori dei Cpi e dei “navigator”, con l’affiancamento sul posto di lavoro. Sono previsti dieci milioni per il funzionamento dell’Agenzia e un milione l’anno per tre anni per stabilizzare il personale a tempo determinato, oltre ai 500 milioni di euro stanziati per l’assunzione di 6mila “navigator”. «Proprio sull’assunzione, sul ruolo e sull’inquadramento dei “navigator” sono nate le principali incomprensioni con le Regioni – conclude Dominici - . Il rischio è di adottare un processo totalmente top down, che non rispetta le autonomie regionali, mentre le misure di rafforzamento della rete funzioneranno al meglio solo se il processo sarà governato, appunto, in una logica di rete».

I Comuni hanno oggi un ruolo diverso rispetto all’erogazione del reddito di inclusione (Rei), ma si conferma un forte carico di lavoro (per verificare i requisiti di soggiorno e residenza, predisporre i progetti di pubblica utilità sociale; alimentare le banche dati; segnalare informazioni sui fatti suscettibili di sanzioni o decadenza; convocare i richiedenti con bisogni complessi ecc), con un personale che negli ultimi anni ha subito una progressiva riduzione, passando da 391mila del 2010 ai 338 del 2016 (-13,6%). E nelle previsioni Anci 50mila dipendenti hanno diritto alla pensione quota 100. Come dotazioni finanziarie, ai Comuni non saranno riconosciuti gli oneri per i controlli dei requisiti o attivazione dei progetti di pubblica utilità, ma sono lasciate le risorse destinate ai servizi sociali territoriali a legislazione vigente pari a 1,5 miliardi (Fondo Povertà) per attrezzare i sistemi informativi al dialogo con le piattaforme digitali nazionali e per assumere assistenti sociali a tempo determinato. Con il paradosso che i Comuni si troveranno ad assumere nuovi assistenti sociali non strutturali proprio quando scadranno a dicembre 2019 quelli assunti e formati con circa 490 milioni di euro risorse del Pon inclusione per assistere i beneficiari del Rei.

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