mercoledì 20 marzo 2013
​Per il presidente di Italia Lavoro "l’iniziativa europea ha il difetto di partire solo nel 2014. Le difficoltà ci sono ma è un’occasione che va colta"
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​Collaborazione tra pubblico e privato, con una regia nazionale. Paolo Reboani, presidente di Italia Lavoro, l’agenzia tecnica del ministero del Welfare, vede così l’implementazione possibile della Youth guarantee.Con quali tempi presumibili sarà possibile applicare il progetto di Youth guarantee in Italia?Il Consiglio Europeo dell’altra settimana ha riconfermato la priorità della lotta alla disoccupazione giovanile. In questo quadro la Youth guarantee rappresenta la prima concreta risposta che l’Unione Europea mette in campo. È certamente una iniziativa strategica e di grande valenza anche simbolica, perché può essere il primo nucleo di comuni politiche per il lavoro di cui al momento l’Europa è priva. Il punto debole, tuttavia, risiede nel fatto che è previsto che entri in funzione nel 2014 con la nuova programmazione comunitaria e con il nuovo bilancio, mentre sarebbe utile che funzionasse già nei prossimi mesi, magari con i residui della precedente programmazione o con uno stanziamento comunitario ad hoc. Mi auguro perciò che la Commissione Europea pensi ad un regime transitorio e stimoli subito una prima sperimentazione in questa direzione. Credo che sia un’occasione per avvicinare l’Europa ai cittadini che non può essere persa.Chi potrà implementarlo nel concreto: i centri per l’impiego, magari coordinati da voi di Italia Lavoro? Ma sarà possibile vista la scarsità di personale e fondi che già caratterizza oggi i servizi pubblici?Il progetto prevede che ci sia una responsabilità nazionale, un punto di contatto centrale e che poi esso si articoli sui territori. Credo, dunque, che Italia Lavoro possa svolgere questa funzione, anche nell’ottica, che io auspico, di un rafforzamento dell’Agenzia in una direzione federalista delle politiche del lavoro. Ovviamente la decisione finale spetterà al ministero del Lavoro. Penso, comunque, che questo programma possa essere attuato da Italia Lavoro con la stretta cooperazione dei centri per l’impiego – che dovranno essere ripensati – indirizzando l’azione alle performance ottenibili. Non mi nascondo tutti i possibili problemi ma può essere un’occasione importante per rigenerare le politiche del lavoro in Italia.È ipotizzabile, e come, una collaborazione con le agenzie per il lavoro private?Assolutamente sì. Se pensassimo a politiche del lavoro incentrate solo sugli operatori pubblici non avremmo compreso le dinamiche del mercato del lavoro italiano né la necessità di avere una molteplicità di attori nella sua gestione. Dobbiamo evolvere – e lo stiamo facendo con molta difficoltà – verso un modello australiano, dove anche i privati agiscono e sono remunerati sulla base dei risultati ottenuti. È questo in parte anche il modello lombardo. È ovvio che lo Stato si riserva il ruolo di regolatore.Il progetto europeo, che mira ad accorciare i tempi della transizione scuola-lavoro, si prefigge di incidere in particolare sul bacino dei neet, i giovani che né studiano né lavorano. Quali proposte potrebbero in qualche modo "smuoverli"?Il fenomeno dei neet è preoccupante. Rischia di originare un’intera generazione di senza lavoro. Uno spreco di capitale umano che non possiamo permetterci. La proposta più semplice è che dobbiamo offrire loro una possibilità di lavoro. Dobbiamo "attivarli" cercando quanto più possibile di indirizzarli al lavoro. Per fare questo occorre intervenire sui percorsi educativi, sulla formazione, sull’orientamento. Occorre riconciliare le esigenze del mercato con i bisogni dei lavoratori, tenendo presente che sono le imprese gli attori che offrono lavoro. Italia Lavoro sta promuovendo una serie di progetti per i neet che speriamo possano andare in questa direzione.Cosa può fare ancora L’Europa?La Youth guarantee è ovviamente solo il primo passo verso politiche comuni europee per il lavoro. L’Unione Europea è chiamata a fare di più. Le conclusioni del Consiglio europeo aprono uno spiraglio per maggiore flessibilità nelle politiche di bilancio. Ovviamente, gli investimenti sono una voce importante, ma io auspico che, almeno per il prossimo biennio, possano essere considerati in questa flessibilità le azioni per la disoccupazione giovanile. Sono interventi ancora più facilmente definibili e il cui impatto è immediato sull’economia. In questo deve immediatamente rientrare l’intervento sul costo del lavoro. Mi auguro che il prossimo governo insista subito su questa priorità.
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