martedì 1 agosto 2017
Rosario Rasizza, ad di Openjobmetis e presidente di Assosomm, giudica positivamente l'abolizione dei vecchi buoni lavoro. Ma solo un'impresa alimentare su quattro, per esempio, utilizzerà i nuovi
«La somministrazione è la vera alternativa»
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Dallo scorso lunedì 10 luglio sono partiti i Presto, i nuovi contratti di prestazione occasionale, che hanno preso il posto dei vecchi voucher. Debutto anche del Libretto famiglia e del Contratto di prestazione occasionale (per le imprese fino a cinque dipendenti, i professionisti e la Pa). Per utilizzarli è necessario che sia i datori di lavoro sia i lavoratori si registrino sulla piattaforma dell'Inps, direttamente o tramite il contact center e che si alimenti un conto, dal quale l'Istituto effettuerà il pagamento. Nei casi di imprese vengono fissati un minimo salariale (nove euro) e un compenso minimo giornaliero (36 euro). I pagamenti, in entrambi i contratti, saranno mensili e avverranno ogni 15 del mese.

«Giudichiamo in modo positivo l’abolizione di uno strumento quale era quello dei voucher vecchi in quanto troppo si prestavano all’abuso - spiega Rosario Rasizza, amministratore delegato di Openjobmetis e presidente Assosomm -. Bene anche il fatto che siano stati avviati i nuovi voucher che colmano il periodo di “buio” che è intercorso tra i due sistemi. Per il resto, non possiamo che stare a osservare e sperare che, con l’introduzione di uno strumento che ha comunque un costo inferiore al lavoro subordinato, molti datori di lavoro possano uscire da situazioni di sommerso. Bisogna anche dire che, pur essendo il nuovo voucher meno caro del lavoro subordinato, ha un costo superiore al precedente».

Anche per questo, solo un'azienda alimentare su quattro sembra intenzionata a utilizzare i nuovi buoni lavoro. Pesa, infatti, lo scetticismo degli imprenditori rispetto allo strumento varato nei mesi scorsi dal governo al termine di un lungo braccio di ferro con la Cgil. L'86% delle imprese auspica l'eliminazione del tetto massimo di 5mila euro annui previsto dalla legge e il 70% spera nell'estensione della possibilità di utilizzo dello strumento a tutte le imprese, al di là della dimensione. È quanto si legge nell'Osservatorio congiunturale sulle imprese del commercio al dettaglio dell'alimentazione presentato da Fida Confcommercio.

«Il rischio che aumenti il lavoro nero e diminuiscano le tutele per i lavoratori - sottolinea Rasizza - non è connesso al voucher in sé, ma anche a una questione culturale su cui c’è molto da lavorare. Le tutele ci sembrano, tuttavia, aumentate, visto che il versamento contributivo da parte delle aziende in favore dei lavoratori è aumentato, passando da un attuale 36,5% a un precedente 20%. Rimane comunque il fatto che i nuovi voucher non hanno parità di trattamento retributivo rispetto ai lavoratori subordinati, anche dal punto di vista dei benefit, per esempio il servizio di mensa aziendale».

Oltre al limite economico di 5mila euro l'anno per lavoratore e per datore di lavoro, con un ulteriore limite di 2.500 euro per le prestazioni rese a un singolo datore, c'è anche un limite di durata: non si potranno superare le 280 ore nell'anno. Altrimenti scatta la trasformazione in contratto a tempo indeterminato.

Secondo il presidente di Assosomm, «la somministrazione potrebbe, in verità, essere considerata la vera alternativa a tutti i casi in cui non si possa o desideri assumere a tempo determinato o indeterminato. Pensare alle Agenzie per il lavoro quando ci sia una reale necessità di flessibilità potrebbe essere senza dubbio una valida soluzione. Per questo occorre però un fronte istituzionale più propenso a considerare le Agenzie per il lavoro la vera spinta propulsiva del ministero del Lavoro per la lotta alla disoccupazione e lo sviluppo del mercato del lavoro».

«Pensiamo che ci sia ancora molto da lavorare - conclude Rasizza - sul concetto di buona flessibilità e sull’opportunità di guardare alle Agenzie per il lavoro come soggetti esperti e capaci di offrire occasioni di lavoro regolare dal punto di vista retributivo e contributivo. Troppo spesso, invece, le Agenzie per il lavoro scontano un’ingiusta percezione di realtà dispensatrici di precarietà.

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