mercoledì 3 gennaio 2018
Il 48% ottimista sui risultati del Paese (+7% rispetto a un anno fa), il 75% sull'azienda in cui lavora
Lavoratori italiani più fiduciosi
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I lavoratori italiani si lasciano alle spalle il 2017 e si affacciano al nuovo anno con maggiore fiducia nella situazione economica del Paese: quasi un dipendente su due - il 48%, ben sette punti in più rispetto a un anno fa - è ottimista sulla crescita economica nei prossimi 12 mesi. Anche se nel confronto internazionale l’Italia resta ancora nella parte bassa della classifica dei Paesi per livello di fiducia, lontana 13 punti dalla media globale, pari al 61%. Sono ancora migliori le aspettative degli italiani sull'andamento delle imprese in cui lavorano: quasi due terzi ritengono che la propria azienda abbia ottenuto risultati superiori a quelli dell’anno precedente (64%, tre punti in meno della media globale e +3% sul 2016), tre su quattro sono convinti che nel 2018 miglioreranno ancora (+1% sul 2016 e +3% rispetto alla media globale). È una visione positiva quella che emerge per l'Italia dall’Economic Outlook 2018 del Randstad Workmonitor, l’indagine trimestrale sul mondo del lavoro di Randstad, secondo operatore mondiale nei servizi per le risorse umane, condotta in 33 Paesi del mondo su un campione di 400 lavoratori per ogni nazione di età compresa fra 18 e 65 anni.

«Il 2018 si apre secondo buoni auspici per l'Italia: pur restando sensibilmente sotto la media globale, la fiducia nella ripresa economica dei lavoratori è in crescita di sette punti in un anno – commenta Marco Ceresa, amministratore delegato di Randstad Italia – trainata soprattutto dai più giovani, con il 55% di under 45 che manifesta ottimismo contro il 41% degli over 45. Un chiaro segnale del miglioramento del contesto generale, in un trend positivo che si rafforza con la solida fiducia riposta dai dipendenti nei risultati dell’impresa in cui operano».

I risultati
Nel dettaglio, secondo i risultati della ricerca, il 48% dei lavoratori italiani crede nel miglioramento della situazione economica del Paese, contro il 61% della media globale. Rispetto allo scorso anno, l’Italia ha guadagnato sette punti, anche se rimane stabilmente nella metà bassa della classifica. In Europa, soltanto Ungheria e Grecia hanno un indice di fiducia più basso (rispettivamente 47% e 37%). Molto più ottimismo emerge riguardo ai risultati raggiunti dalla propria azienda. Il 64% dei lavoratori è convinto che il proprio datore di lavoro abbia ottenuto risultati migliori rispetto all’anno precedente (tre punti in meno della media globale, pari al 67%), con i lavoratori più giovani che si mostrano più fiduciosi dei lavoratori più senior (71% di ottimisti nella fascia 18-44, contro il 56% dei 45-67enni). Ben tre lavoratori su quattro (il 75%, contro il 72% della media globale), invece, ritengono che le performance aziendali continueranno a migliorare anche nel 2018; anche in questo caso sono gli under 45 il segmento più ottimista (81% contro il 67% nella fascia 45-67). L’ottimismo dei lavoratori però si riduce quando si passa dai risultati aziendali a quelli individuali. Il divario fra la media degli italiani che si aspettano di ricevere un aumento di stipendio alla fine dell’anno (39%) e quella globale (56%) è di ben 17 punti. In Europa soltanto Grecia (31%), Belgio (32%) e Danimarca (37%) sono meno ottimisti, i francesi sono dello stesso avviso degli italiani, mentre i più ottimisti sono portoghesi (62%), svedesi (61%) e inglesi (55%). La distanza si riduce se si considera la percentuale che si aspetta di ricevere un bonus una tantum entro la fine del 2018: è fiducioso il 45% degli italiani, contro il 51% della media globale; in questo caso l’Italia è uno dei paesi europei più ottimisti. Anche il confronto fra lavoratori più giovani e dipendenti più esperti rivela una percezione molto diversa: quasi un under 45 su due nutre la speranza di ricevere un bonus (49%) o un aumento di stipendio (48%), percentuale che nella fascia di età 45-67 anni scende al 40%, nel caso del bonus, e crolla al 29%, se si considera lo scatto di salario.

Mobilità
Nel quarto trimestre 2017, rispetto al precedente, la mobilità dei lavoratori è rimasta stabile a livello globale, a quota 109 punti. Il mercato italiano, invece, pur registrando una crescita di un punto percentuale, si conferma più rigido della media, con un indice di mobilità pari a 101.

Cambio di lavoro
Il 77% dei lavoratori italiani non ha cambiato né mansione né datore di lavoro negli ultimi sei mesi, il 9% dei dipendenti ha cambiato soltanto azienda, un altro 3% ha cambiato ruolo all’interno della stessa società, il 12% ha cambiato sia l’impresa che la posizione ricoperta.

Ricerca di lavoro
Soltanto l’1% degli italiani sta attivamente cercando un altro lavoro, il 9% sta selezionando nuove opportunità, il 24% si sta guardando attorno, il 30% non si sta impegnando attivamente nella ricerca ma se capitasse un’occasione sarebbe aperto ad ogni possibilità, mentre ben il 35% dichiara di non cercare lavoro.

Soddisfazione del lavoro
Pur occupando stabilmente la seconda metà della classifica, nel complesso gli italiani sono contenti della loro situazione occupazionale: il 64% è soddisfatto, il 25% non esprime un giudizio né positivo né negativo, mentre solo l’11% è insoddisfatto del proprio lavoro.

Timore di perdere il lavoro
Nell’ultimo trimestre, si è stabilizzata la percentuale gli italiani che hanno timore di perdere il posto di lavoro (9%, in linea con la scorsa rilevazione), ma allo stesso tempo cresce una generale sensazione di insicurezza: il 30% non teme di perdere l’impiego ma non si sente del tutto sicuro (+4%), soprattutto tra gli uomini (32% contro il 29% delle donne). Stabile anche il numero di dipendenti che ritiene di poter trovare un’occupazione analoga nel giro di sei mesi (50%, -1% rispetto allo scorso trimestre ma +1% sul 2016), convinzione che nell’ultimo anno è cresciuta molto fra le donne (53% contro 47% degli uomini). Diminuisce invece la fiducia di trovare un lavoro diverso (46%, -2% rispetto a tre mesi fa e -1% sul 2016) e anche in questo caso le più ottimiste sono le donne (dal 44% del 2016 all’attuale 50%, contro il 42% degli uomini).

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