mercoledì 3 agosto 2016
Le suore di clausura accusate sui media di avere ricevuto denaro dalla Popolare di Vicenza mostrano la verità dagli estratti conto. «Ora chi ha sporcato deve pulire».

Arrestato l'ex ad di Veneto Banca
Suore infangate, non «milioni» ma bene
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«Chi ha sporcato, pulisca». Sono quattordici, per metà anziane, le suore Clarisse Adoratrici di Porto Viro, diocesi di Chioggia e provincia di Rovigo, ma hanno la grinta per difendersi dal «fango mediatico » che negli ultimi mesi ha colpito il monastero di clausura, accusato di aver ricevuto in dono dalla Banca Popolare di Vicenza 'fiumi di denaro'. E il tutto sarebbe avvenuto perché tra le monache di clausura c’è anche suor Carla, sorella dell’ex presidente dell’istituto di credito Gianni Zonin. «Certo che qui c’è suor Carla, ma noi viviamo in doverosa povertà, neanche sappiamo come sia fatto tanto denaro – trasecola l’abbadessa, madre Maria Giuliana –. Tutti i giorni distribuiamo aiuti alla popolazione che non arriva a fine mese e bussa da noi. Viviamo noi stesse di offerte grazie alla gente del luogo che ci vuole bene, e tutto ciò che possiamo restituiamo a chi ha bisogno. Magari avessimo ricevuto fiumi di denaro: aiuteremmo molte più persone». Il tutto è iniziato lo scorso 10 aprile quando la trasmissione d’inchiesta di Milena Gabanelli, Report, si è occupata su Raitre dello scandalo che ha coinvolto alcuni grandi istituti bancari e del baratro in cui hanno trascinato migliaia di ignari risparmiatori. Anche la Banca Popolare di Vicenza si è trasformata in un buco nero che ha ridotto sul lastrico migliaia di famiglie: «Sono 117mila i risparmiatori che restano a guardare azioni che continuano a scendere – dice la voce fuori campo dell’inviata di Report, Giovanna Boursier –. Sono imprenditori, operai, pensionati, persino gli impiegati della banca». Se non che, intervistato dalla stessa giornalista, prende la parola per pochi secondi l’ex vicepresidente della banca, Gianfranco Rigon, da tempo in rotta con Zonin: «Dentro la Popolare di Vicenza decideva sempre tutto lui – denuncia Rigon –. Abusava del Fondo di beneficienza della banca elargendo somme al convento di Porto Viro...». L’ex vice di Zonin racconta che ogni mese vedeva ripetersi la stessa voce, '10 milioni a PortoViro'. «Allora ho chiesto di cosa si trattasse e mi è stato detto: eh, c’è la sorella...». Immediato il 'fango': l’accusa occupa le prime pagine dei giornali locali, scuote le famiglie che da sempre si affidano alle Clarisse e faticano a credere che dietro una facciata di povertà si celassero ricchissime accaparratrici. Contro di loro c’è solo quell’accenno di Rigon, ma la valanga mediatica non si ferma: la Voce di Rovigo parla di «un fiume di denaro diretto al convento» dal 2001 in poi e azzarda due conti alla cieca, «dieci milioni di lire al mese, cioè 120 milioni di lire l’anno, cioè un miliardo tondo ogni otto anni e mezzo, ammesso che il flusso sia durato così tanto». Nessun controllo, nessuna verifica. Alla fine dell’articolo il maldestro estensore espone come prova di colpevolezza delle monache quello che si rivelerà invece uno scambio di persona: «La suora che ha risposto all’inviata di Raitre – insinua – ha dimostrato in qualche modo di sapere di cosa la giornalista stesse parlando: 'Mi sto occupando delle donazioni della Banca Popolare di Vicenza', ha detto infatti...». Peccato che quella frase a Report l’abbia pronunciata la giornalista, non la suora. Peggio va con Venetoeconomia, secondo il quale «l’uso spregiudicato del fondo di beneficienza della banca» avrebbe fruttato alle quattordici suore addirittura «diversi milioni di euro » anziché (semmai) di lire... Di un fiume di soldi parla anche Il giornale di Rovigo, che però lamenta il fatto di non poter controllare le carte e fare i conti in tasca alle suore...  Le quali si stufano, e in parlatorio si presentano davanti all’inviata di Avvenire che ha bussato alla loro porta proprio con le famose 'carte',  decise a far emergere la verità. Suor Maria Veronica ci consegna una pila di estratti conto dettagliati giorno per giorno, con entrate e uscite: «Li abbiamo richiesti alla nostra banca, la Antonveneta, qui è tutto nero su bianco». La norma consente di andare indietro di 10 anni, così c’è tutto dal 2005 ad oggi. E, a meno di non pensare che per coincidenza le donazioni siano avvenute solo tra il 2001 e il 2005 interrompendosi di botto, basta e avanza per dedurne lo stile di vita delle Clarisse: piccoli e medi benefattori che negli anni hanno contribuito con somme ora minime ora più ingenti alle grandi spese di manutenzione del convento e al fiume di denaro (questo sì) che dalle Clarisse ha raggiunto i poveri. Nero su bianco anche questo: decine di migliaia di euro, ad esempio, sono più volte in uscita 'a favore di padre C.Z.', missionario che in Perù gestisce quattro ospedali. Da famiglie del circondario i 50 o 100 euro arrivano con costanza, tanto che i loro nomi alla fine ci sono familiari. Giuliano e Tina danno anche 1.000 euro, 'causale per i poveri'... È suor Veronica, senza remore, a sottolineare le uniche due apparenti 'anomalie', come i 47mila euro legittimamente arrivati da una eredità (presto seguiti da forti versamenti agli ospedali del Perù e dall’acquisto di un angolo di cimitero «così tutte potremo riposare insieme a Porto Viro»), e finalmente 50mila euro arrivati da Gianni Zonin nel 2009: «Alla morte del padre, per sua volontà, ci ha fatto quest’unica grande offerta, ma è sua personale, non della Banca di Vicenza. E come vede, 23mila euro li abbiamo subito inviati alla missione in Tanzania, oltre a pensare alle famiglie povere di qui».Affezionati al convento, in realtà, sono sempre stati i fratelli e una sorella di Gianni Zonin, «persone generose che a Pasqua e Natale arrivavano con 2 o 3.000 euro in una busta, Gianni invece non si è mai visto... Ora, poveretti, non possono più, vittime anche loro del buco nero provocato dalla Banca diVicenza». Sul tavolo, insieme ai conti correnti, tante lettere di solidarietà scritte dalla gente di Porto Viro e non solo, per le quali le Clarisse svolgono un ruolo fondamentale di ascolto, preghiera e consiglio. «La vostra chiesetta ormai da parecchi anni è un punto di riferimento» (Graziano). «Le cose apparse in tivù e sui giornali non hanno cambiato minimamente l’affetto e la stima» (Marco). «Tutti dovremmo ringraziarvi per quello che fate, siate orgogliose di rappresentare con tanta passione la misericordia» (Ilaria C.). «Siamo sereni con la nostra coscienza e andiamo avanti, poi capiranno tutti che sono solo fandonie» (Fabrizio I.). «Addolora sapere che la vostra vita di offerta e dedizione a tutti noi sia offesa. Il male dilaga, ma grazie a voi permane un luogo che fonda la speranza» (Claudia L.). «Credetemi care sorelle, nessuno dubita della missione che portate avanti con cuore pieno di amore. Ora sono io a pregare per voi» (Nella). «So che state vivendo una crisi di difficoltà a causa delle false accuse... », scrive Giuseppina.È vero, dai giorni del fango molte offerte si sono fermate «e li capisco – continua suor Veronica, che nel frattempo è stata raggiunta dalle consorelle, compresa suor Carla Zonin –, di questi tempi si fa fatica a fidarsi del prossimo, se ne sentono di tutti i colori. Ma noi siamo state colpite ingiustamente». Mentre parliamo, più volte suonano al portone. Sono madri o padri che vanno alla ruota a ritirare pacchi di viveri. «Ogni settimana smistiamo un camion di scatolame, puliamo casse di verdure e poi prepariamo cassettine per le famiglie. È un lavoro pesante ma dobbiamo dividere i pani e i pesci, è giusto così, c’è un grande bisogno tra gli italiani – aggiunge la badessa –, ancor peggio adesso a causa del dissesto della banca». Suor Carla Zonin sorride pallida e pensosa. Come nasce, a questo punto, quell’accusa di Rigon, circostanziata, precisa, «ogni mese la stessa voce, 10 milioni a Porto Viro»? Madre Maria Giuliana scuote la testa e chiarisce: «Quello che ci riguarda è che noi non li abbiamo mai ricevuti. Davvero uscivano dalla banca? Allora si vada a vedere a chi andavano». Lo ha scritto anche La Voce: «Se al convento non sono arrivati, dalle casse della Banca Popolare di Vicenza dove finivano?». Le suore annuiscono con intenzione: «Appunto, dove? Non vogliamo lanciare accuse, ma chiunque abbia sporcato ora deve pulire. Chiunque».
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