venerdì 13 maggio 2016
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Le voci discordanti sulla salute dell’economia e della finanza cinesi catalizzano attenzione e timori. Per alcuni anche un ottimismo a oltranza basato sulle passate performance del sistema-Cina e sul credito dato alle autorità in un tempo di transizione. Tuttavia, la 'Cina profonda', mostra sempre più aree di disagio e contraddizioni. Per decenni, la città di Qian’an, parte dell’area metropolitana di Tangshan la 'Ruhr cinese', è stata simbolo del nuovo corso non più piegato all’ideologia maoista, ma indirizzato allo sviluppo nazionale e individuale. Non a caso gli impianti della città erano arrivati a produrre acciaio in quantità equivalente al decimo produttore mondiale, l’Ucraina. Oggi la sua arteria principale, non a caso il Viale della Città dell’Acciaio (in cinese Gangcheng Dadao), è vetrina di passate glorie imprenditoriali e di grandeur propagandistica, ma ancor più area di sosta, confronto e protesta di una popolazione operaia senza più lavoro o, per chi ancora la conserva, in attesa che cali la scure ufficiale sulle «aziende zombie» che il presidente Xi Jinping ha indicato come zavorra per il sistema economico pubblico e quindi da eliminare gradualmente al costo di sei milioni di impieghi. L’industria nazionale dell’acciaio è passata da essere icona della Cina del recente passato a fardello della Cina futura e la sorte di Qian’an prefigura quello di altre aree. La sua popolazione di 700mila individui, immiserita e in via di assottigliamento, è in buona parte indebitata, perché con sempre più membri delle famiglie fuori dalla produzione e i compensi previsti dal piano governativo ancora sulla carta, banche e 'squali' del credito compensano redditi al lumicino. Dallo scorso novembre la tensione crescente, anche per stipendi arretrati e compensi assicurativi non pagati, è sfociata in aperta protesta. Una situazione che allarma le autorità locali e che manifesta un disagio ben più ampio e crescente. Non a caso il China Labour Bulletin, iniziativa che monitora i diritti dei lavoratori nel grande paese asiatico, vi ha registrato lo scorso anno 2.700 scioperi e manifestazioni, oltre il doppio del 2014. Significativamente, sono oltre 500 quelli registrati nel solo gennaio 2016. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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