sabato 26 agosto 2017
Draghi a Jackson Hole non parla di politica monetaria. L’euro vola
Mario Draghi e Janet Yellen (Ansa)

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Nessun cenno al QE, il programma di acquisto titoli della Banca centrale europea, al Tasso ufficiale di sconto o all’inflazione: dal raduno dei banchieri a Jackson Hole, Stati Uniti, il presidente della Bce, Mario Draghi, intervenuto dopo la 'collega' Janet Yellen, sceglie di criticare duramente chi si oppone all’apertura dei mercati. E, dunque, di lanciare un messaggio proprio al presidente Donald Trump, che ha fatto del protezionismo un vessillo della nuova politica economica americana. L’intervento, dopo un’assenza di tre anni, è caduto a ridosso della riunione del prossimo consiglio Bce, il 7 settembre, al termine del quale molti osservatori ritengono che l’Eurotower possa annunciare le modalità di riduzione dello stimolo monetario a partire dal 2018.

A differenza del 2014, quando di fatto in questa sede anticipò il quantitative easing, ieri Draghi nel discorso ufficiale non ha parlato di politica monetaria. E l’euro è immediatamente schizzato ai massimi dal 2015 sul dollaro a quota 1,1922: i mercati hanno dunque interpretato il 'silenzio' come un rinvio del cosiddetto 'tapering', l’uscita graduale dalle manovre espansive. L’enorme quantità di denaro che le Banche centrali hanno riversato sul sistema finanziario in 10 anni, nonostante le misure di stimolo siano prossime alla riduzione, resta sempre rilevante (messi assieme, i bilanci dei principali istituti sfiorano i 20mila miliardi di dollari) e in cerca di collocazione nel sistema finanziario. Anzi: da inizio anno, hanno calcolato gli analisti di BofA, le maggiori istituzioni mondiali hanno acquistato asset per circa mille miliardi di dollari. A questo ritmo, il 2017 si chiuderà con ben 3600 miliardi di dollari in più nei loro bilanci, e potrebbe dunque rivelarsi l’anno di maggior immissione di liquidità delle banche centrali di sempre. Draghi nel Wyoming ha voluto invece affrontare il tema della crescita. Una svolta protezionistica a livello globale, ha spiegato, costituirebbe «un grave rischio» per l’economia. Un rischio, ha aggiunto, «particolarmente acuto alla luce delle sfide strutturali che le economie avanzate devono affrontare».

Draghi ha sottolineato come negli ultimi anni «la tendenza all’apertura dei mercati sia stata indebolita» E ciò è dovuto «non tanto alla convinzione che i mercati aperti non creino più ricchezza, ma alla percezione che gli effetti collaterali dell’apertura superino i suoi vantaggi». Preoccupazioni, queste, che vanno superate. Per raggiungere un maggiore dinamismo, ha osservato, giusto che si pensino alle politiche interne, ma «è altrettanto importante un impegno a lavorare as- sieme attraverso le istituzioni multilaterali». Siccome i timori di equità e sicurezza riflettono «una mancanza di fiducia nella regolamentazione e nell’applicazione di altri Paesi» alle regole, uno dei principali obiettivi per tali istituzioni è proprio quello di «creare una convergenza normativa» e quindi «aumentare la fiducia tra i Paesi». E una delle aree più importanti su cui applicare tale convergenza, è proprio quella finanziaria.

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