lunedì 6 gennaio 2014
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In Germania una Partita Iva su quattro guadagna meno degli 8,5 euro lordi l’ora che dovrebbero diventare il nuovo salario minimo fissato per legge, secondo l’accordo del neonato governo di coalizione. Sono circa 1,1 milioni di piccoli commercianti, artigiani, ma anche avvocati, artisti e docenti privati che – sostiene il centro di ricerche economiche Diw sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung – «praticamente "muoiono di fame", mancando dei mezzi per provvedere al proprio mantenimento in vecchiaia o per affrontare le conseguenze di una malattia». Se si considerano anche gli 8 milioni di lavoratori impiegati nei «mini-job» a 450 euro al mese, si svela la faccia nascosta del record di occupati raggiunto dalla locomotiva tedesca.Il problema di bassi salari, part-time involontario e remunerazioni sempre più scarse per il lavoro autonomo, ovviamente riguarda anche noi. Basti pensare che gli oltre 4 milioni di professionisti del nostro Paese, tra autonomi e parasubordinati, possono contare su un reddito medio netto di appena 9.041 euro l’anno, qualcosa come 750 euro al mese. Peggio, se si considerano le donne, che scontano differenze anche di 6mila euro rispetto ai "colleghi" maschi.Emerge così che certamente dopo questa lunga crisi occorrono politiche espansive e di incentivo alle assunzioni per riavviare la domanda di lavoro e agevolarne l’incontro con l’offerta, grazie anche a sconti fiscali. Ma anche laddove, come in Germania, si è sostanzialmente raggiunta la piena occupazione o quasi, resta il problema di livelli salariali (relativamente) troppo bassi. Non solo per occupazioni di livello base, quanto anche, e forse soprattutto, per impieghi e professioni intellettuali, fino a qualche decennio fa biglietto d’ingresso nella piccola borghesia. La globalizzazione e più ancora il processo di innovazione tecnologica polarizzano il mercato del lavoro, spingendo in basso una parte della vecchia classe media, fino alle soglie della sussistenza. Il salario minimo per legge è un mezzo appunto per evitare «remunerazioni da fame», ma per garantire un equo compenso del lavoro, la strada migliore resta quella di sviluppare una reale contrattazione, facendo crescere la rappresentanza anche di questi frammenti di mestieri e professioni più o meno autonome.
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