sabato 29 aprile 2017
Il presidente dell’Alleanza delle Cooperative: più soldi in busta paga con lotta agli sprechi e all’evasione fiscale.
Maurizio Gardini

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Anche quest’anno è un Primo Maggio che continua a rimanere una festa per pochi. E lo dico pensando soprattutto ai troppi giovani disoccupati, costretti a guardare alla prospettiva concreta di trovare un impiego come se fosse un’utopia. Deve essere la presa di coscienza di questa emergenza, e dunque la volontà di risolverla, a ispirare le prossime politiche e le azioni da mettere in campo sul mercato del lavoro». Maurizio Gardini, numero uno di Confcooperative e presidente dell’Alleanza Cooperative italiane, parla in qualità di rappresentante di un mondo che negli anni della Grande Crisi è riuscito a salvaguardare – e in qualche comparto addirittura ad aumentare – i livelli occupazionali. Le considerazioni e le proposte di Gardini arrivano in un momento economico cruciale, dove il Paese si trova nel limbo di una ripresina che fa un’enorme fatica a sbocciare in una vera crescita.

Presidente, rispetto a 12 mesi fa non nota qualche passo in avanti sul fronte occupazionale?
Un lieve miglioramento c’è stato e va riconosciuto. Attraverso il combinato tra il Jobs Act e gli sgravi fiscali previsti per le nuove assunzioni nelle ultime leggi di Stabilità abbiamo assistito a un timido passo in avanti, ma c’è ancora molta strada da fare.

Quali strumenti potrebbero agevolare il proseguimento del percorso?
Bisogna insistere con incisività sulla riduzione strutturale del costo del lavoro. Da tempo chiediamo di intervenire sul differenziale tra il costo aziendale e quanto percepisce il dipendente per ridurre uno scarto che resta ancora alto. Basti pensare che per chi può contare su un reddito lordo annuale di 16.200 euro, il costo aziendale è di 25.400 euro. Un gap che sale notevolmente con l’aumento della retribuzione: con un lordo annuale di 33.900 euro, il costo aziendale annuale è di 52.900. Mettere più soldi in busta paga e ridurre il cuneo fiscale avrebbe effetti positivi a cascata: dalla crescita della competitività delle imprese al rilancio dei consumi. In sostituzione del regime dei voucher, infine, è necessario individuare una tipologia contrattuale che risponda effettivamente a tutte le necessità di servizi non strutturali e occasionali.

C’è un problema, però. Dove si trovano le risorse per finanziare questo pacchetto di interventi?
Non certo attraverso un rialzo dell’Iva, che se dovesse aumentare avrebbe un effetto depressivo su una domanda interna già non esaltante. La strada maestra, invece, dovrebbe indurre a intervenire su due fronti: un taglio degli sprechi che ancora ci sono e un contrasto più forte all’evasione fiscale.

A proposito di lavoro, la situazione di Alitalia mette a rischio migliaia di posti. Che idea si è fatto del rifiuto dell’accordo da parte dei lavoratori?
È stata una sconfitta del sistema Paese. Con l’esito del referendum sono arrivati al pettine i nodi che si sono creati con gli errori commessi dai vari attori in campo negli ultimi sei o sette anni. Non si possono sostenere artificialmente aziende che hanno varato piani industriali disastrosi. Dall’altra parte, emerge un tema non più rinviabile che riguarda la crisi del ruolo della rappresentanza.

A chi si riferisce?
Alle principali organizzazioni: dai sindacati alle imprese, includendo la politica. Sono convinto che il Paese non possa vivere senza rappresentanza. Ma è necessario modernizzare il modello. Ecco perché va compiuto un grande sforzo complessivo, magari a cominciare dalle parti sociali, affinché si apra una nuova stagione di dialogo tra settore produttivo e lavoratori all’insegna della collaborazione. Si possono tutelare i diritti dei propri associati anche senza demonizzare quel mondo imprenditoriale sano, che è netta maggioranza nel Paese. Soprattutto in questo momento, non ha senso mettere "pezzi del lavoro" contro "altri pezzi del lavoro", scatenando una sorta di guerra tra poveri che ha solo l’effetto di danneggiare la comunità.

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