mercoledì 11 luglio 2012
​I dati della Cgia smentiscono un luogo comune: il 40% circa ha terminato gli studi dopo il conseguimento della licenza di scuola media inferiore. Solo il 15% circa è laureato.
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​In numero assoluto i precari italiani sono 3.315.580 unità: lo stipendio è mediamente di 836 euro netti al mese ( 927 euro mensili per i maschi e 759 euro per le donne), solo il 15% è laureato, la Pubblica amministrazione è il suo principale datore di lavoro e nella maggioranza dei casi lavora nel Mezzogiorno (35,18% del totale). Per quanto riguarda il titolo di studio, fa sapere la Cgia di Mestre che ha fatto un focus sui lavoratori atipici,  quasi uno su due (per l’esattezza il 46% del totale) ha un diploma di scuola media superiore, il 39% circa ha concluso il percorso scolastico con il conseguimento della licenza media e solo il 15,1% è in possesso di una laurea.
La più alta concentrazione di lavoratori precari italiani è nel  Pubblico impiego. Infatti, nella scuola e nella sanità ne troviamo 514.814, nei servizi pubblici e in quelli sociali 477.299. Se includiamo anche i 119.000 circa che sono occupati direttamente nella Pubblica amministrazione (Stato, Regioni, Enti locali, etc.), il 34% del totale dei precari italiani è alle dipendenze del Pubblico (praticamente uno su tre). Gli altri settori che registrano una forte presenza di questi lavoratori atipici sono il commercio (436.842), i servizi alle imprese (414.672) e gli alberghi ed i ristoranti (337.379).È il Sud l’area geografica che ne conta il numero maggiore. Se oltre 1.108.000 precari lavorano nel Mezzogiorno (pari al 35,18% del totale), le realtà più coinvolte, prendendo come riferimento l’incidenza percentuale di questi lavoratori sul totale degli occupati a livello regionale, sono la Calabria (21,2%), la Sardegna (20,4%), la Sicilia (19,9%) e la Puglia (19,8%). “Su un totale di oltre 3.315.000 lavoratori senza un contratto di lavoro stabile - spiega Giuseppe Bortolussi  segretario della Cgia di Mestre - quasi 1.289.000, pari al 38,9% del totale, non ha proseguito gli studi dopo aver terminato la scuola dell’obbligo. Questi dati smentiscono un luogo comune che identifica il precario in un giovane con un elevato livello di studio. Per questo è necessario pensare anche a questi lavoratori con un basso livello professionale che con la crisi rischiano di essere spazzati via dal mercato del lavoro”.
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