domenica 21 gennaio 2018
La sostenibilità del nostro domani purtroppo non è al centro delle politiche dei vari Paesi
Politica e veri potenti: senza un'alleanza poco margine di manovra
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Anche quest’anno, come nel 2017, sulla carta l’ambiente è la vera preoccupazione dei potenti riuniti a Davos, il primo dei rischi planetari citati nel rapporto preparatorio dal World Economic Forum. Purtroppo la rottura globale dei sistemi è il tipico evento che la politica, oggi, non pare in grado di affrontare. Una seria visione sulla sostenibilità del nostro domani non difetta solo a casa nostra, nella leadership della piccola Italia alle prese, in questa campagna elettorale, con la sindrome della rottamazione forzata; o nella riottosa Unione Europea, incapace di accordarsi sulla gestione dei flussi migratori. È probabilmente il vero limite dell’intera classe politica contemporanea.

Le strutture democratiche attuali non riescono infatti a raccogliere e a elaborare i dati rilevanti abbastanza velocemente, sicché il governo delle comunità, a ogni livello, diventa una mera amministrazione, spesso emergenziale, del presente o comunque di un arco temporale che nemmeno si avvicina ad abbracciare una generazione. Complice il potere crescente della tecnologia e di chi ne possiede le chiavi, la politica del resto sta abdicando dal suo ruolo di guida, consegnando forzatamente il potere elle élite finanziarie. Nella ricostruzione fatta dal politologo Giorgio Galli e dallo stratega Mario Caligiuri («Come si comanda il mondo. Teorie volti, intrecci», Rubettino) sulla base di una ricerca del Politecnico di Zurigo, gran parte del potere mondiale è nelle mani di una ristretta oligarchia costituita da amministratori delegati di grandi multinazionali, finanzieri, presidenti di fondazioni culturali e di università prestigiose. Meno di cento persone, per gran parte dedite ad accrescere le proprie risorse materiali e capitali intangibili più che a redistribuirli. Nell’epoca dei big data e dei grandi flussi d’informazione, una visuale limitata ha i suoi vantaggi: il potere dei miliardari è strettamente proporzionale ai loro obiettivi. Selezionando i dati, possono ingannare il sistema per arricchirsi. Al contrario, se i nuovi re si cimentassero con la questione della riduzione della diseguaglianza o con il problema del riscaldamento globale, sperimenterebbero la stessa inadeguatezza – o incapacità – dei decisori politici. Non sarebbero cioè in grado di leggere e tanto meno di governare un sistema troppo complesso.

Come ammonisce il filosofo Yuval Noah Harari (Homo Deus), «nessuno oggi può recepire tutte le più recenti scoperte scientifiche, nessuno può fare previsioni su quale sarà l’assetto dell’economia globale nei prossimi dieci anni, e nessuno ha uno straccio di indizio di dove ci stiamo dirigendo con così tanta fretta». L’unico modo per immaginare un percorso di sostenibilità comune sembra dunque quello di favorire un’alleanza tra leader politici – la cui partecipazione quest’anno a Davos tra ministri, presidenti e premier, oltre 340 quelli di primo piano, è senza precedenti – e società civile. Oligarchie incluse. È l’auspicio dello stesso professor Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del Wef: «La sfida è trovare lo slancio e la volontà per lavorare insieme su di un futuro condiviso».

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