venerdì 30 novembre 2012
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​La questione non è economica, o almeno non solo. Non è neppure il tradizionale bipolarismo pubblico-privato che s’innesca quando si parla di welfare. In Italia il sistema va cambiato perché inefficiente e iniquo, puntando sulla «soggettività operosa», il protagonista del welfare sussidiario. Il nuovo modello di benessere, presentato ieri al Cnel, perciò, farà della sussidiarietà orizzontale un volano per lo sviluppo del Paese. La nuova impostazione, che ha tra i suoi teorizzatori il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini, è basata sulla collaborazione tra i soggetti sociali (ad esempio, le famiglie) e gli erogatori dei servizi, siano essi pubblici o privati. Qui sta la novità: gli enti non profit, e in generale il Terzo settore, possono diventare una risposta adeguata per il «surplus di senso che deriva dalle relazioni che innescano», spiega Vittadini. La persona non è più solo cliente o utente di una prestazione, ma il fulcro del dinamismo sociale; «si torna così - continua - a scommettere sulla libertà e la creatività delle formazioni sociali, dentro un contesto normativo sempre più ordinato al bene comune».La coperta, nel tempo, è diventata troppo corta e piena di buchi. Dunque, non basta più rimescolare le carte per garantire una sostenibilità di lungo periodo. Per il welfare italiano «servono competenze, realismo e coraggio, non tifoserie né semplificazioni», esordisce il consigliere Cnel Gian Paolo Gualaccini. Pensare a un welfare sussidiario, non significa però deresponsabilizzare lo Stato, a cambiare è «la funzione pubblica ora gestita in maniera collettiva», gli fa eco Andrea Olivero. Il portavoce del Forum Terzo settore difende l’universalismo dei servizi, «attivando in più le persone e rendendole cittadini, innescando un patto di cittadinanza intorno al tema del welfare. Si arriva, quindi, ad avere anche soggetti privati che operano in una prospettiva pubblica per il benessere collettivo».Quel che resta da mettere a regime sono i misuratori sociali condivisi, criteri che permettano di quantificare il valore economico delle realtà non profit. Va preso atto di quanto incidono, sottolinea Giorgio Fiorentini dell’università Bocconi, «a Milano, ad esempio, il 70% del sistema sanitario è gestito dal privato sociale, che di fatto tiene in piedi tutto». La sussidiarietà, tuttavia, va concepita persino come la capacità di liberare le energie nascoste all’interno del tessuto sociale, per arrivare ad un «welfare di comunità». Il presidente di Labsus, Gregorio Arena, pensa difatti a una «politica sociale diffusa con i cittadini solidalmente responsabili» e i Comuni nel ruolo di coordinatore di una rete di soggetti che, «in maniera condivisa, si prendono l’onere di organizzare un progetto di benessere orientato al bene comune».
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