martedì 17 maggio 2016
​Per il settore prevista una crescita del 2,1%, mentre calano le richieste di sussidi ai lavoratori e la cassa integrazione.
Per industria e lavoro un 2016 che fa sperare
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Numeri confortanti per l’industria italiana e per il lavoro, tra previsioni e momentanei bilanci. È lo scenario delineato dall’ultima radiografia sullo stato di salute dell’industria italiana secondo l’89° rapporto Analisi dei settori industriali, a cura di Intesa Sanpaolo e Prometeia (presentato ieri a Milano), e dai dati snocciolati sempre ieri dall’Inps. Il primo dei due rapporti dice che il fatturato dell’industria italiana crescerà del 2,1% quest’anno, anche se poi potrebbe fermarsi all’1,8% nel periodo 2017-2020. L’Inps invece ha registrato anche a marzo un calo delle richieste di indennità di disoccupazione: tra Aspi, Naspi, mobilità e disoccupazione sono state nel complesso 98.557 (-27,3% rispetto allo stesso mese del 2015). Nei primi tre mesi le domande di disoccupazione sono state in totale 353.293 (-28,2% rispetto al 2015, già in forte calo sul 2014). A febbraio invece le domande di disoccupazione erano state 105.874 con un calo tendenziale del 22,6%. Buone notizie anche riguardo alla cassa integrazione. Ad aprile il numero di ore di cig complessivamente autorizzate è stato pari a 57,1 milioni, in calo del 6,2% rispetto allo stesso mese del 2015 (60,9 milioni).Dati che insieme allo scenario evidenziato nel rapporto di Intesa Sanpaolo e Premeteia fanno ben sperare per l’effettiva ripresa del settore industriale, trainato soprattutto dalla domanda interna e dai consumi delle famiglie. Tra i comparti, il manifatturiero appare più solido e il saldo commerciale nel 2020 tornerà, secondo le previsioni, vicino ai 95 miliardi di euro. Nel medio termine, la crescita continuerà a essere più intensa nei settori con maggiore presenza di imprese multinazionali, a capitale nazionale o estero (automotive, farmaceutica, largo consumo, elettrotecnica). «Gli ultimi dati del Pil sono certamente incoraggianti», compatibili con una crescita media annua di 1-1,2%, dice Gregorio De Felice, capo economista di Intesa. A favorire questo modello di crescita è un mix di fattori: una politica fiscale neutrale o leggermente espansiva, una politica monetaria iperespansiva e costi dell’energia bassi. Parlando poi di deflazione, aggiunge  De Felice illustrando il rapporto, «se la bassa inflazione viene percepita come temporanea non pesa sui comportamenti delle famiglie, ma anzi ne accresce il potere di acquisto». Dunque l’industria italiana va bene ma, secondo Alessandra Lanza (di Prometeia) «presenta ancora delle criticità strutturali. Abbiamo una generazione di imprenditori più vecchia della media europea e una percentuale di manager laureati molto bassa (26% in Italia contro il 56% della Germania e il 72% della Francia). Bisogna investire nella tecnologia e nella digitalizzazione e impegnarsi nell’integrazione del commercio elettronico».Per quanto riguarda i fattori di rischio che gravano, De Felice ricorda che «per l’industria italiana sono tre. In primis lo scenario del commercio internazionale, in cui si sta entrando in una politica pre-protezionistica, basti pensare alle sanzioni contro la Russia che hanno danneggiato il commercio. C’è poi l’instabilità politica in Europa, dove manca un’unione fiscale».
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