venerdì 13 agosto 2010
Nel Paese asiatico si cerca di "spegnere" il boom. Il governo simula il possibile crac.
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La Cina vuole capire quanta crescita si può permettere. Per capirlo ha bisogno di sapere quali effetti potrebbe avere un’esplosione della sua bolla immobiliare, e per avere queste informazioni ha avviato gli stress test su tutto quanto si possa collegare al mattone: le banche finanziatrici, le compagnie immobiliare, l’industria del cemento, quella dell’acciaio.La bolla immobiliare che Pechino ha lasciato gonfiare negli anni passati – con i prezzi delle case cresciuti del 75% del 2009 – si è fermata a giugno con il primo calo del valore mattone. Una contrazione mensile dello 0,1%, seguita da una variazione nulla a luglio. Poca cosa rispetto al -15 o -20% a cui punta il governo. Quel calo è particolarmente deludente perché fermare la bolla immobiliare, senza farla esplodere con troppa violenza, è un’operazione che la Cina sta pagando duramente in termini di crescita del Pil. È da aprile infatti che la China Banking Regulatory Commission ha avviato le politiche di stretta monetaria utili a fermare la corsa dei prezzi: sono stati inaspriti i criteri con cui le banche possono concedere i finanziamenti, ostacolati i mutui troppo generosi fermati i cittadini che puntavano a comprarsi più case. L’ultima stretta risale al 10 agosto: le banche saranno obbligate, dal 2011, a iscrivere nel proprio bilancio anche i prestiti concessi tramite le proprie fiduciarie, finanziamenti che, fino a quest’anno, restavano fuori dai libri contabili.La frenata del Pil, che dovrebbe fermarsi a un +9,2% nel terzo trimestre, si accompagna alla contrazione dell’indice della produzione industriale cinese, calato a luglio per la prima volta da quasi un anno e mezzo. Anche le esportazioni stanno rallentando: a luglio la loro crescita rispetto all’anno prima è stata del 38,1% dopo il 43,9% di giugno. Ma per il governo della Repubblica Popolare la frenata rischia di essere troppo brusca ed esasperare un clima sociale già ad alta tensione. Ed è per questo che, dagli strss test, Pechino vorrebbe capire che possibilità ha di allegerire la sua politica creditizia. A sorpresa, infatti, è emerso che alle banche è stato chiesto di arrivare a determinare le conseguenze di un crollo dei prezzi delle case che arrivi anche al 60%, una caduta in realtà considerata troppo pesante per essere probabile. Al di là dei periodici annunci di «collasso imminente» per il mattone (l’ultimo è arrivato il 6 luglio da Kenneth Rogoff, ex capo economista del Fondo monetario) gli analisti prevedono contrazioni nell’ordine del 20% che potrebbero arrivare anche al 40% nelle grandi città. Pechino è sempre molto riservata sulle criticità del suo sistema, ma sembra che gli stress test basati sulla possibilità di un crollo dei prezzi del 30% avrebbero dimostrato che le banche sarebbero in grado di resistere, mantenendo le insolvenze sui prestiti al 2,2% e un calo degli utili del 20%. Le stime dicono che i mutui pesano solo per il 13% nel portafoglio di prestiti delle banche cinesi, quindi un crollo controllato del mattone sarebbe tollerabile per il sistema finanziario. Ora però il governo vuole capire anche cosa rischiano l’industria dell’acciaio e quella del cemento. Se i risultati saranno soddisfacenti allora il governo della Repubblica Popolare scioglierà la briglia del credito che sta frenando la corsa del Dragone.
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