mercoledì 6 giugno 2018
Il 14 giugno inizerà la discussione sulla fine del Quantitative Easing. Un fattore che aumenta la tensione su Btp già sotto pressione per i piani economici in deficit del nuovo esecutivo.
La riunione del consiglio della Bce lo scorso dicembre, a Francoforte

La riunione del consiglio della Bce lo scorso dicembre, a Francoforte

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A meno di imprevedibili inciampi lungo il suo percorso, il governo guidato da Giuseppe Conte avrà lo sfortuna di gestire l’enorme debito pubblico italiano in una fase delicatissima, quella dell’esaurimento del piano di acquisti di titoli governativi e privati da parte della Banca centrale europea. La fine del Quantitative easing è ormai vicina. Ieri Peter Praet, capo economista della Bce, intervenendo alla conferenza degli attuari a Berlino, ha spiegato che i segnali di un avvicinamento dell’inflazione a un livello «inferiore, ma vicino, al 2%» si stanno rafforzando.
A maggio l’inflazione nella zona euro è salita fino all’1,9%, spinta dai prezzi dell’energia. La Bce, ha aggiunto l’economista belga nato in Germania, può centrare l’obiettivo di inflazione previsto nel suo mandato «nel medio termine». Parole che danno conferma a un’indiscrezione che l’agenzia americana Bloomberg ha pubblicato martedì sera: nella prossima riunione del consiglio direttivo – giovedì prossimo, fuori sede a Riga, in Lettonia – si inizierà a parlare di come chiudere il QE, la cui motivazione centrale è il raggiungimento dell’obiettivo di inflazione.

Il rendimento dei Btp si riavvicina al 3%

Prima o poi doveva succedere. Ma per l’Italia l’avvicinarsi dell’ufficialità della fine degli acquisti della Bce, partiti nel marzo 2015 al ritmo di 80 miliardi al mese e ora ridotti a 30 miliardi, non fa che aggiungere tensione a un mercato dei titoli di Stato già scosso dalle novità politiche. La fiammata dei Btp a 2 e a 10 anni della scorsa settimana non era solo dovuta all’instabilità e al rischio di nuove elezioni: l’incertezza sui piani economici del governo, che sembra determinato ad avventurarsi in manovre costose finanziandole in deficit, preoccupa i grandi investitori.
Non a caso la discesa dei tassi di interesse nei giorni passati non è stata all’altezza della salita dei giorni precedenti: il rendimento dei Btp decennali era al 2,38% lunedì 28 maggio, è salito fino al 3,25% il giorno successivo per poi scendere attorno ai 255 punti e quindi risalire, a partire da questo lunedì, fino al 2,91% di ieri. Siamo quindi ancora almeno 0,5 punti percentuali in più rispetto ai livelli dell’inizio di questa crisi. La Spagna, l’altra grande economia della “periferia” dell’euro, paga tassi dell’1,5%, quasi la metà. Lo spread è a 245 punti.


Massiah: attenzione al funding delle banche

Victor Massiah, amministratore delegato di Ubi Banca, uno dei principali gruppi bancari del Paese, è intervenuto al congresso della Uilca e in maniera molto franca e non allarmista ha ammesso che qualche problema c’è: «A valle delle elezioni politiche è emersa una maggioranza che ha portato messaggi di profondi cambiamenti. Non è mio compito dare giudizi ma è ovvio che la prima reazione del mercato sia stata di preoccupazione [...]. Questa reazione sta creando dei problemi, lo vediamo non solo sullo spread e sulla quotazioni borsistiche ma anche dal fenomeno meno evidente che è il mercato del funding istituzionale. Se ne parla di meno, fa meno spettacolo ma è la preoccupazione più importante».
Massiah si riferisce alle obbligazioni che le banche emettono per finanziarsi: se gli operatori «sono preoccupati dal “rischio Italia”, non sono disposti a sottoscrivere ulteriori obbligazioni. E questo implica complessità importanti se questo periodo va per le lunghe». L’Ad di Ubi ha chiarito che non è un problema immediato, ma «la soluzione alla preoccupazione dei mercati» non può tardare troppo, perché questo tipo di finanziamento per le banche «è l’ossigeno immediato».

Gli analisti iniziano a guardare indicatori come l’Euribor, il tasso a cui le banche si prestano denaro a vicenda, per misurare la tensione di questa fase. Per adesso c’è qualche minimo movimento al rialzo. Il quadro generale è reso ancora più sfortunato dall’avvicinarsi dell’estate: quando molti operatori vanno in ferie sui mercati ci sono meno movimenti ed è la situazione ideale per chi vuole lanciarsi in attacchi speculativi. «Sell in may and go away» è uno dei vecchi motti di Wall Street. «Vendi in maggio, e vai via» – è il consiglio – per tornare a settembre e ritrovare una Borsa meno volatile.



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