giovedì 22 febbraio 2018
I candidati hanno avuto la possibilità di presentarsi ai selezionatori in stanze prive di luce in modo che fossero le loro effettive competenze e capacità a emergere
Ora il posto si trova al buio
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La nuova frontiera della selezione del personale è il blind recruitment. Una tendenza, quello dei colloqui al buio, a cui si affidano sempre più aziende per trovare il candidato giusto. Già da qualche anno, soprattutto in Nord America, il blind recruitment è diventata una pratica consolidata: dai curricula che scorrono tra le mani dei recruiter vengono cancellate alcune informazioni degli aspiranti lavoratori, come età, sesso e razza, per eliminare qualsiasi tipo di pregiudizio nella scelta.

Sap Italia ha fatto di più, arrivando a una vera e propria blind interview. In occasione di Sap Forum a Milano, l’azienda ha organizzato, infatti, dei colloqui al buio, nel senso letterale del termine, ponendosi come pioniere di questa strategia: i candidati hanno avuto la possibilità di presentarsi ai selezionatori in stanze prive di luce in modo che fossero le loro effettive competenze e capacità a emergere. Un’esperienza senza dubbio inusuale, che i candidati hanno affrontato con grande interesse, riportando toni entusiastici per questa iniziativa.

«È emersa la sorpresa. L’effetto non è solo quello di evitare di abbattere i pregiudizi, ma le persone si sono dimostrate più aperte in una situazione molto particolare - spiega Pietro Iurato, Hr director di Sap Italia -. Il progetto di blind recruiting per noi fa parte del tema più ampio della diversity. Abbiamo già a disposizione una nostra soluzione (Sap SuccessFactors) con funzionalità di machine learning che ci consente di limitare i pregiudizi nella prima fase di selezione grazie al matching automatizzato tra cv e posizioni aperte. Ma volevamo spingerci oltre e abbattere qualsiasi influenza sulla scelta del candidato anche nel momento del colloquio e l’intervista al buio ci è sembrata la soluzione ideale: in un colloquio di questo tipo non si è influenzati da alcun elemento 'esterno', se non dai contenuti della discussione. Abbiamo proposto questa esperienza in occasione di Sap Forum lo scorso ottobre a un target giovane, di neo-laureati, perché in questa prima fase abbiamo ritenuto che fossero i destinatari più ricettivi e aperti a sperimentare una nuova forma di dialogo con noi».

Ma come si svolge, in concreto, un colloquio ‘alla cieca'? «La fase di preparazione - risponde Iurato - è molto importante, tanto quanto lo svolgimento del colloquio. I nostri responsabili del recruitment hanno seguito un percorso formativo presso l’Istituto dei Ciechi di Milano per capire come relazionarsi al buio, captare reazioni o interpretare le nuance della voce. Il confronto con i formatori ha dato loro tutti gli strumenti necessari per immedesimarsi nei possibili stati d’animo dei partecipanti all’evento e metterli a proprio agio. I giovani candidati sono stati accolti dalle recruiter in piccole stanze completamente al buio, dove si sono svolti i colloqui. Ad ognuno di loro è stata consegnata all’ingresso una pila fluorescente da utilizzare qualora si fossero sentiti a disagio per l’assenza totale di luce. Ma gli intervistati non hanno sentito il bisogno di ricorrere alla pila durante i colloqui. Questa esperienza sensoriale è prova del fatto che la cura riposta nell’organizzazione è riuscita nell’intento di far emergere talento e inclinazioni personali dei singoli, in un clima di apertura, empatia e innovazione. L’innovazione fa parte del Dna della nostra azienda, e non penso solo alle nostre soluzioni software, ma anche alle diverse anime dell’organizzazione: dal customer e partner engagement alla gestione delle risorse umane, dalla comunicazione ai servizi. Continueremo a sperimentare, quindi, nuovi metodi per il recruiting e lo svolgimento dei colloqui. I riscontri che abbiamo ricevuti dai ragazzi che hanno partecipato alle blind interview sono stati molto positivi e ci incoraggiano a essere 'disruptive'. Come azienda i benefici sono stati indubbi, sia in termini di ricaduta sull’immagine, sia per i nuovi talenti che abbiamo intercettato. Con i tradizionali percorsi, non li avremmo mai identificati».

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