venerdì 15 giugno 2018
Un fenomeno negativo comune a tutte le economie sviluppate. Svanito anche il «sogno americano»
L'ascensore sociale si è rotto. Difficile migliorare la condizione di lavoro
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È diventato difficile migliorare la propria situazione economica attraverso il lavoro. Nell’ambito degli studi sulla diseguaglianza, diventata negli ultimi anni uno dei più analizzati temi di macroeconomia, l’Ocse ha approfondito la questione della mobilità sociale, cioè della possibilità che una persona durante la sua vita possa cambiare “classe sociale” di appartenenza. Qualcosa che accade ormai molto raramente nelle economie sviluppate che fanno parte dell’Ocse, Italia compresa.

In media, calcolano gli analisti dell’organizzazione parigina, a chi nasce in una famiglia che appartiene al 10% più povero della popolazione occorrono 4,5 generazioni per arrivare ad avere un reddito pari a quello medio del proprio paese. Significa che chi ha origini povere può sperare che i nipoti dei propri nipoti possano – nel giro di un secolo o qualcosa di più – finalmente raggiungere l’ambita “classe media”.

L’Italia è appena sopra la media Ocse in questa statistica: da noi le generazioni necessarie sono cinque, come nel Regno Unito, in Portogallo o negli Stati Uniti (con buona pace del vecchio “sogno americano”), e comunque meno delle sei generazioni necessarie per il salto di classe sociale in Francia e Germania. Come spesso accade in queste analisi, sono le economie scandinave a guidare la classifica: in Danimarca si può sperare di completare l’emancipazione dalla povertà nel giro di due generazioni, in Norvegia, Finlandia e Svezia in tre.

Non è stato sempre così. La parte più interessante dell’analisi dell’Ocse è il confronto con la mobilità dei redditi delle generazioni precedenti. Per molti dei nati tra il 1955 e il 1975 da famiglie con un basso livello di educazione era «una realtà», per chi è arrivato dopo questa mobilità si è fermata. L’Ocse ha osservato un campione di cittadini di tutti i paesi per quattro anni per capire quanta dinamicità ci fosse tra le classi sociali: nel 70% dei casi chi apparteneva alla classe più ricca ci è rimasto, così come è rimasto inchiodato alla sua condizione di miseria il 60% di chi apparteneva al 20% più povero della popolazione. Per la classe media i movimenti verso il basso sono stati più numerosi di quelli verso l’alto.

L’ascensore sociale sembra rotto, avverte l’Ocse, che propone alcuni possibili rimedi: investire sull’istruzione; ridurre il dualismo sul mercato del lavoro; migliorare le reti di protezione per le famiglie povere.

Nel caso italiano l’istruzione e il lavoro sono sicuramente le priorità. Se infatti il nostro paese è sotto ma abbastanza vicino alla media dell’Ocse per quanto riguarda la mobilità dei redditi, cioè la possibilità di migliorare il proprio reddito durante la vita lavorativa, è invece molto al di sotto dello standard per la mobilità educativa (due terzi dei figli di persone con istruzione bassa restano con lo stesso livello educativo dei genitori) e per quella occupazionale (quasi il 40% dei figli di lavoratori manuali diventano a loro volta lavoratori manuali).

Intervenire, avverte l’Ocse, non è importante per obiettivi di solidarietà o giustizia sociale, che non sono al centro dell’attività dell’organizzazione. È una questione che riguarda direttamente la crescita: c’è infatti un nesso tra la produttività e la crescita del Pil da una parte e il tasso di “inclusività” di quella crescita dall’altro. Più persone riescono a godere degli effetti della crescita economica, più un paese evita di sprecare talenti e investimenti e riesce quindi a ottenere uno sviluppo più robusto, solido e duraturo.

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