domenica 21 luglio 2019
Così l’Agenda 2030 è fuori strada: dalla caritas italiana arriva un invito alla riflessione con un dossier sull'inefficacia dei summit internazionali
La Caritas: poco coordinamento, a rischio l'agenda Onu 2030
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Il 'manifesto' per una nuova solidarietà universale. Così può essere definita l’Agenda 2030 dell’Onu, approvata da oltre 190 nazioni nel settembre del 2015. Ma per trasformarla da libro dei buoni propositi, declinato in 17 obiettivi e 169 target 'misurati' da 232 indicatori, in realtà bisogna avere un quadro d’insieme che con grande coerenza tenga conto delle variabili infinite (e delle contraddizioni) che stanno dietro al concetto di sviluppo sosteninile. A quattro anni da quel patto è tempo di bilanci. Dalla Caritas italiana arriva un invito alla riflessione rivolto al mondo della politica con il dossier «Vertici internazionali: servono veramente ai poveri?». Un appello ai governi, che si sono appena riuniti a New York (dal 9 al 18 luglio) nel corso dell’annuale High level political forum dedicato al tema «Dare potetere alle persone e assicurare inclusività e uguaglianza», affinché assumano decisioni globali in grado di affrontare le diseguaglianze. Tra due mesi, il 24 e 25 settembre l’assemblea generale dell’Onu farà per la prima volta il punto sullo stato dell’arte. La vera sfida secondo la Caritas è trovare una strategia complessiva che vada al di là dei numeri e delle percentuali affermi il primato dei diritti umani e analizzi in profondità degli effetti delle politiche pubbliche a livello globale e locale. Il termine sviluppo sostenibile sembra essere entrato nel nostro vocabolario comune, ma il suo significato appare 'astratto' e gli interventi messi in atto a volte in contraddizione tra loro. Quello che manca, è il monito, è «un’iniziativa realmente decisa e convincente ». Non bastano i vertici insomma, dove rischiano di essere protagonisti solo gli stakeholders, vale a dire i 'portatori di interessi' e di rimanere inascoltati i portatori di diritti. Per questo la Caritas sollecita un maggior coinvolgimento della società civile e e lamenta una sorta di 'contrazione dello spazio' di azione dei corpi sociali intermedi. Non basta immaginare «un mondo libero dalla povertà, dalla fame e dalla mancanza» dove «nessuno sia lasciato indietro» come si legge nella dichiarazione d’intenti dell’Agenda 2030, occore affrontare e trasformare i meccanismi strutturali che causano la povertà e gli squilibri che ci sono nel mondo. Anche alla luce della dottrina sociale della Chiesa: un gruppo di Caritas di diversi Paesi, compresa quella italiana, ha elaborato per questo il documento «Impegnarsi nell’Agenda 2030 nella prospettiva della Laudato sì» dove si mettono in evidenza le convergenze tra gli obiettivi Onu e l’enciclica di Papa Francesco.

Il dossier rivolto ai politici parte analizzando i dati sulla povertà e i cambiamenti climatici: due punti cruciali dell’Agenda. Se è vero che dal 1990 a oggi i poveri che vivono con meno di 1,9 dollari al giorno sono passati da 2miliardi a 750 milioni di persone è anche vero che restano profonde disparità e che i progressi sono stati fatti solo da alcuni Paesi: ad esempio al netto del contributo della Cina il numero di poveri è rimasto stabile a partire dal 2000. Per raggiungere gli standard previsti dall’obiettivo 1 (fame zero) sarebbe necessario un tasso di uscita dalla povertà più di tre volte superiore a quello attuale. E lo scorso anno (vedi articolo in pagina, ndr) è stato registrato il terzo aumento consecutivo di persone, 10 milioni in più, che soffrono gravemente di denutrizione. Non va megli sul fronte del riscaldamento globale: se non si interviene il temuto aumento di 1,5 gradi verrà ragiunto tra il 2030 e il 2052 e non nel 2100 come sarebbe auspicabile. L’accordo per le 'emissioni zero' in Europa entro il 2050 è stato bloccato dai Paesi di Visegrad proprio qualche giorno fa. La situazione insomma è meno rosea di quello che sembra. Se si va nel dettaglio emergono molte contraddizioni. Nell’obiettivo 2 dedicato alla lotta contro la fame prevale una lettura incentrata sulla produzione e una scarsa attenzione ai temi dell’accesso e della distribuzione del cibo. La prospettiva dello sviluppo sostenibile è particolarmente complessa quando si parla di un tema spinoso come la produzione delle armi (obiettivo 16, dedicato ai temi della pace e della sicurezza). In Sardegna, a Domusnovas, c’è la fabbrica della RWM Italia. Si tratta di uno dei pochi stabilimenti produttivi in una delle aree più svantaggiate della penisola. Ma le bombe d’aereo prodotte qui vengono poi esportate in Arabia Saudita e impegnate nella guerra in Yemen. Il concetto di «coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile» citato dal target 14.4 rischia di restare una mera dichiarazione d’intenti perché la legalità formale non è sempre compatibile con il bene pubblico.

Un altro tema controverso è quello delle migrazioni, oggetto di quotidiana contesa politica. Nell’Agenda 2030 gli immigrati sono citati in otto diversi target: vengono riconosciuti i loro diritti (educazione, lavoro, sicurezza) ma al tempo stesso serpeggia l’idea che i flussi migratori siano un fattore da controllare e da maneggiare con cura. Viene sottolineato in linea teorica «il ruolo che migrazioni ben regolate possono avere nel dare un immenso contributo allo sviluppo sostenibile» ma vengono anche attribuiti 'punteggi' in termini di sostenibilità ai Paesi che limitano i flussi e chiudono le frontiere. Non viene richiamato il diritto alla «libertà di migrare» e alle motivazioni che sono legate spesso a guerre e carestie. Si evidenzia quindi un contrasto tra i principi e le pratiche che rispecchia tra l’altro l’atteggiamento ambiguo avuto dalle politiche migratorie europee, centrate sui temi della sicurezza e del controllo dei confini. Non a caso il tentativo di approvare regole condivise con il Global Compact for Migration (documento che stabilisce alcune linee guida nella gestione dell’immigrazione e dell’accoglienza dei richiedenti asilo sulla base delle indicazioni di operatori e funzionari) è caduto nel vuoto: il governo italiano continua a rimandarne la sottoscrizione. In quella stessa direzione di limitazione degli spazi dei corpi sociali intermedi va letto il giro di vite inflitto alle Ong: non solo una limitazioni delle possibilità di soccorso in mare, come emerso dai recenti casi di cronaca, ma anche forme di «stigmatizzazione e criminalizzazione» delle attività di accoglienza.

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