martedì 23 settembre 2014
Una formazione più strutturata e l’acquisizione di capacità manageriali dall’esterno possono essere le soluzioni alla crisi di crescita di questi anni.
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L’imprenditorialità si può imparare, ma le modalità di apprendimento tradizionalmente utilizzate dagli imprenditori italiani non sono più sufficienti, in un mondo in cui il successo d’impresa dipende più dalla capacità di innovazione che da quella di contenere i costi. Una formazione più strutturata e l’acquisizione di capacità manageriali dall’esterno possono essere le soluzioni alla crisi di crescita di questi anni. È questa, in sintesi, la tesi presentata alla Lectio Inauguralis della Rodolfo Debenedetti Chair in Entrepreneurship da Fabiano Schivardi, il professore della Bocconi titolare della Cattedra.La Cattedra Rodolfo Debenedetti in Entrepreneurship è stata istituita grazie a una donazione a titolo personale, dell’ammontare di 3 milioni di euro, di Carlo De Benedetti, che intende così onorare la memoria del padre Rodolfo. Si tratta di una cattedra intitolata e permanente, ovvero di una cattedra la cui attività è finanziata dai proventi di un fondo di dotazione, donato per fini filantropici da un individuo o un’impresa e investito dall’Università. "Con questa iniziativa in memoria di mio padre - ha spiegato Carlo De Benedetti alla presentazione della Cattedra - vorrei insieme all’Università Bocconi aiutare i giovani che nonostante tutte le negatività hanno voglia di provarci. Sono profondamente convinto che la creazione dello spirito imprenditoriale è il risultato di una fitta trama di valori, educazione familiare, aspirazioni personali, e che il principio che ordina tu tte queste variabili è in ultima istanza rappresentato dai percorsi di istruzione e formazione"."Con l’impegno su temi strategici come quello dell’imprenditorialità, che verrà ora potenziato in nome di Rodolfo Debenedetti e grazie alla lungimiranza di Carlo De Benedetti - ha affermato il presidente della Bocconi, Mario Monti - la Bocconi intende contribuire sempre più ad una positiva evoluzione della società italiana ed europea, sia con una ricerca rigorosa ed aperta alla realtà, sia con la formazione di una classe dirigente responsabile e in grado di affrontare, nel privato e nel pubblico, le sfide della crescita e dell'occupazione".L’analisi del caso italiano, presentata da Schivardi, mostra che hanno maggiore probabilità di diventare buoni imprenditori gli individui che, intorno all’età critica dei 18 anni, sono immersi in un ambiente ad alta densità imprenditoriale, tipicamente un distretto industriale. L’Italia, con la grande diffusione dei distretti industriali, sembrerebbe una naturale culla di buoni imprenditori e invece i risultati di crescita degli ultimi 20 anni sono stati deludenti.Schivardi lo spiega con la struttura del tessuto produttivo italiano, caratterizzato da una moltitudine di imprese piccole e familiari, arrivate al successo grazie ai vantaggi in termini di costo in settori a limitato contenuto tecnologico. E sono proprio le capacità manageriali necessarie a conseguire tale vantaggio che i giovani apprendono vivendo nelle aree ad alta densità imprenditoriale. Solo che, nei mercati globalizzati, il vantaggio di costo non è più sostenibile e il successo imprenditoriale necessita di un più ampio set di abilità, che comprende innovazione, ricerca e sviluppo, marketing e molto altro.Anche le nuove abilità, ha affermato Schivardi, si possono imparare, seguendo due percorsi complementari: una formazione più strutturata dell’imprenditore o l’acquisizione di tali abilità dall’esterno, attraverso l’allargamento del gruppo manageriale a seguito tipicamente di finanziamenti di venture capital.Se l’Italia, infatti, è più o meno allineata al resto d’Europa in termini di percentuale di imprese a controllo familiare (85,6%, con la Francia all’80% e la Germania all’89,8%) e rimane allineata quanto meno alla Germania in termini di percentuale di imprese familiari con amministratore delegato familiare (83,9% l’Italia, 84,5% la Germania), si caratterizza invece per una quota senza uguali di imprese in cui l’intero gruppo dirigente è di estrazione familiare (66,3%, con la Spagna al 35,5% e la Germania al 28%).
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