mercoledì 3 luglio 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
C’è un segnale preoccupante che arriva dalle cooperative sociali, quella categoria di imprese che in questa lunga stagione di crisi ha continuato ad assumere e a offrire nuove prospettive di lavoro a tante persone che lo avevano perso: la vena si sta esaurendo, la spinta a creare nuova occupazione, dopo anni di crescita robusta, sta tendendo allo zero. L’allarme è serio, con la disoccupazione ufficiale al record del 12,2%. L’universo delle imprese sociali sembra però capace di fornire anche questa volta una soluzione, sperimentando nuovi modi di fare impresa, innovando, trovando percorsi inediti. A spiegare che cosa sta cambiando è Stefano Granata, nuovo presidente del Consorzio Gino Mattareli (Cgm), che riunisce quasi mille coop sociali, con oltre 44mila occupati e 500mila utenti serviti.Per il legame con le fasce più deboli della popolazione e con l’area del bisogno, le coop sociali sono da sempre un importante presidio sul territorio. Quale segnali arrivano in questo momento?Al di là del ciclo economico negativo e dei drammatici tagli di spesa, quello che si nota da tempo è in generale una profonda crisi di senso, che mette in serio pericolo la tenuta del tessuto sociale. In questa fase la crisi sembra però aver raggiunto una fase in cui le persone, le comunità, stanno rimettendo in fila le priorità e ridefinendo la gerarchia dei bisogni primari: lavoro, abitazione, educazione, ambiente… Ecco, è in ambiti come questi che oggi si può provare a fare innovazione contro la crisi, aprire nuove strade, far valere la reputazione che un soggetto si è costruito sul territorio.Intende dire che la crisi ha toccato il fondo?Il sistema delle nostre cooperative sociali continua a tenere da un punto di vista dei livelli occupazionali. Il problema è che se negli ultimi anni i tassi di crescita di ricavi e occupati sono stati alti, del 7-8% fino a poco tempo fa, oggi gli incrementi sono molto più limitati. Il dato resta positivo, ma ormai più vicino allo zero. Il serbatoio si sta svuotando. Non abbiamo ancora tagliato, ma per mantenere la posizione stiamo erodendo il patrimonio.Qual è la risposta che state cercando di dare?Le coop sociali si sono sempre occupate delle categorie più in difficoltà della popolazione: offrendo lavoro a persone ai margini del mercato o proponendo servizi socio sanitari a fasce deboli. Questo è però un momento in cui in difficoltà lo sono tutti, mentre il settore pubblico sta smobilitando. Dunque stiamo trovando nuovi modi di operare, con altri soggetti, con aziende "profit".Come si concretizza questa collaborazione?Nell’ultimo anno e mezzo la nostra rete ha investito 60-70 milioni di euro per avviare oltre 60 nuove società ibride, start up miste tra coop sociali e srl, spa o imprese sociali. Oltre ai settori tradizionali, che sono quelli dell’assistenza all’infanzia, ai minori, alle disabilità, e quello del reinserimento lavorativo, oggi stiamo guardando all’housing sociale, per soddisfare nuovi bisogni abitativi, all’ambiente e all’ambito delle energie rinnovabili e della raccolta differenziata, a quei servizi che possono far ricadere il benessere sulle comunità, a nuovi servizi sanitari o di assistenza in rete a costi sociali.La cooperazione sta forse cambiando natura?Il vero ruolo delle cooperative sociali non è quello di fornire servizi, ma mettere in collegamento i cittadini con le risorse.  Le nostre imprese hanno un forte radicamento territoriale e un buon livello di reputazione da poter spendere, sono uno strumento efficace per innovare e rispondere a nuovi bisogni, un partner ideale e ricercato. Il patrimonio della cooperazione sociale va messo in gioco, con altri soggetti del mercato, per generare risorse e far convergere le istanze per aiutare le comunità, avviando attività imprenditoriali fondate sulla centralità della persona. Per creare lavoro, si deve fare impresa.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: