mercoledì 30 novembre 2022
Demansionamento, taglio degli straordinari e degli orari di lavoro: la nuova forma di mobbing si chiama "quite firing", il licenziamento silenzioso con cui le aziende provano a evitare ricorsi legali
Non vieni promosso? (Forse) la tua azienda vuole le dimissioni

Ansa

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Avevamo appena cominciato a familiarizzare con il “quite quitting” (più o meno, i lavoratori che si limitano al minimo indispensabile), che ora già la Harvard Business Review ci parla di “quite firing”, il fenomeno in base al quale un datore di lavoro costringe subdolamente un lavoratore alle dimissioni, magari negandogli scatti di carriera ed evitando di premiarlo nonostante suoi contributi aggiuntivi. Certo, esiste già il fenomeno del mobbing, nel quale rientrano anche atti persecutori, aggressivi o denigratori per emarginare o umiliare un dipendente. Il quite firing, però, per gli esperti è una forma più “nascosta”, più “silenziosa” appunto, per ottenere spesso lo stesso risultato: le dimissioni di chi non è più gradito in azienda. Con il risultato di limitare anche le possibilità di successo di eventuali rivendicazioni legali da parte di chi ha lasciato il proprio posto di lavoro.

Negli Stati Uniti uno studio del Pew research center ha appena mostrato che nel 2021 la gran parte dei lavoratori che si è dimesso lo ha fatto a causa dei bassi salari, della mancanza di opportunità di crescita e per una percepita mancanza di rispetto in azienda. A mano a mano, in molti hanno sentito che il lavoro che stavano svolgendo non era più così gratificante come era stato percepito fino a quel momento, lasciando spazio, come unica via d’uscita, alle dimissioni. Una strategia che, indicano esperti del settore, sarebbero pronte a seguire o avrebbero già messo in atto anche aziende come Meta e Twitter.

In generale, tra i segnali di allerta del quite firing i lavoratori indicano ad esempio l’assegnazione di proprie mansioni ad altri dipendenti, la mancanza di promozioni , il taglio degli straordinari e degli orari di lavoro, l’obbligo di trasferimento in un’altra sede o città. Inoltre, viene spesso citata anche una mancanza di comunicazione con i propri superiori. Secondo esperti legali, documentare eventuali comportamenti scorretti dell’azienda, comprese email e rapporti di valutazione, è la prima cosa che il lavoratore può fare. Prima di dimettersi, comunque, il consiglio degli esperti è quello di provare a negoziare con l’azienda un eventuale incentivo all’esodo o un sostegno nella formazione. Mercato del lavoro permettendo, non è detto che, alla fine, trovare un’altra occupazione, più motivante e soddisfacente, non sia anche per il lavoratore, alle giuste condizioni, la cosa migliore da fare.

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