domenica 3 aprile 2016
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Di Taranto: così le premesse sono divenute false promesse, troppi vantaggi per Berlino In Europa «è in corso un esproprio comunitario ». È una critica diretta alla mancata condivisione dei benefici da parte della Germania quella di Giuseppe Di Taranto, docente di Storia dell’economia alla Luiss e autore del saggio 'L’Europa tradita', che dimostra questo assunto con la forza dei numeri. Perché questa Europa non va? Perché le premesse dell’Unione monetaria si sono rivelate false promesse. L’Unione nacque su due testi – il 'rapporto Delors' e il documento One market, one money – in cui si prevedeva più occupazione e un aumento del Pil del 4-5% nel me- dio periodo. Non abbiamo ottenuto nulla di ciò. E anche le basi erano false: la finanza creativa è nata coi parametri del Trattato di Maastricht, nel febbraio del 1992. Pochi sanno, a esempio, che l’Austria – per rispettare il 3% di deficit – si inventò una società autostradale a cui cedette letteralmente il 3,2% del proprio 'rosso'. Una cosa simile la fece la Svezia. Questo riguarda il passato, però. Sì, ma è allora che si sono poste le radici dei problemi attuali. Nel ’98, quando nacque la Bce, un gruppo di Nobel, fra cui Solow e Modigliani, pubblicò un 'Manifesto contro la disoccupazione'. Dicevano che lo Statuto Bce era sbagliato: prevedeva come scopo solo la lotta all’inflazione, non crescita e occupazione. Nessuno li ascoltò. Pure Milton Friedman, un monetarista, scrisse: « L’Unione politica può preparare la strada alla monetaria. Ma questa, imposta a condizioni sfavorevoli, si rivelerebbe un ostacolo al raggiungimento dell’unità politica » . Non sta succedendo questo? Perché lei punta l’indice sulla Germania? Non è un caso che la Germania sia oggi il Paese economicamente più importante e il maggior esportatore. Per come sono state costruite le regole, volute appunto da Berlino e da Parigi, non poteva che essere così. Guardiamo il saldo della bilancia dei pagamenti: dal ’91 al 2001 era positivo per Italia e Francia, mentre quello tedesco era negativo. Dal 2002 a oggi, invece, mentre vola il dato tedesco c’è la caduta opposta, asimmetrica, di Italia e Francia. Non è dovuto ai meriti tedeschi? Solo in parte. Va ricordato che il marco fu l’unica moneta cambiata 1 a 1 con l’euro. Studi tedeschi, quindi non di parte, hanno provato che senza l’euro il marco si sarebbe rivalutato del 40%. Di fatto la presenza degli altri Paesi ha prodotto in modo indiretto una svalutazione dell’euro che ha favorito di più l’export tedesco. In Germania si afferma di essere stanchi di pagare tasse per aiutare gli altri stati. Non è così? No. Con la crisi degli spread il Bund tedesco diventa dal 2010 un 'bene-rifugio': molti investitori stranieri spostano i loro fondi in Germania, che paga un interesse divenuto a quel punto minimo. Ebbene, dal 2010 al ’14 solo con questo meccanismo Berlino ha messo circa 40 miliardi in cassa, senza fare alcuna attività produttiva. Come investe questi soldi? Nei titoli che danno un interesse alto, in particolare quelli greci, portoghesi, spagnoli e anche italiani. È un caso anche che abbiano rivenduto 35 miliardi di titoli greci prima della ristrutturazione del debito ellenico scattata nel 2012, addossata così ai privati? Per dare un’idea, in quei 5 anni il debito italiano in mano di stranieri è sceso di 104 miliardi, quello straniero è salito di oltre 300. La conclusione qual è? È che mentre noi italiani abbiamo dato contributi diretti al fondo salva-Stati, i tedeschi hanno potuto contribuire senza sforzi, solo facendo ricorso alle risorse ottenute tramite i meccanismi descritti, che una ricerca sempre tedesca ha quantificato in 100 miliardi circa. Sempre questo studio dice che, anche qualora Atene non restituisse i 3 prestiti ricevuti tramite la Troika, la Germania avrebbe ancora un attivo di 10 miliardi. Il dato di fondo è che le regole Ue di fatto hanno spostato risorse verso i Paesi del Nord, solo in parte compensate dagli esborsi per Grecia, Spagna e Portogallo. Criticare Berlino non è un modo per non guardare i nostri limiti? A esempio di produttività? Guarda caso anche questa da noi è calata di molto dagli anni ’90. Dopo, è cominciato il crollo. Ora, una maggior produttività si ottiene in 2 modi: con innovazione e tecnologia o con la formazione del capitale umano. Per entrambe, però, sono necessarie quelle risorse che l’euro non ha garantito. Ecco che allora alcuni chiedono la riduzione dei salari, per ovviare. È già successo in Grecia, può accadere altrove. Cosa andrebbe fatto? Uscire oggi dall’euro è una follia. In assenza di una maggiore unione politica bisogna però prevedere un canale perché si possa uscire. E, soprattutto, un sistema di tutele da parte della Ue, attraverso la Bce, per chi fosse costretto a questa strada, perché questa nazione finirebbe subito preda della speculazione. Nel dare stimoli alla Ue, Renzi sta facendo molto bene. Se potesse dare un consiglio? Direi di insistere. Noto con piacere che ora anche il ministro Padoan ha assunto una linea più problematica rispetto alla Ue, denunciando le statistiche europee che rischiano di danneggiarci. In gioco ci sono le nostre economie, ma anche la democrazia. A proposito: in Italia abbiamo fatto due riforme costituzionali, quella del 2011 di Monti per introdurre il pareggio di bilancio e quella di Renzi. Perché nessuno ha pensato di inserire nella Carta la facoltà di indire referendum sui Trattati europei? I populisti oggi ci sono perché in Europa, su 500 milioni di abitanti, ben 130 sono a rischio povertà. © RIPRODUZIONE RISERVATA L’intervista DIBATTITO Partendo dall’analisi del già governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, pubblicata in due puntate su Avvenire martedì 22 e mercoledì 23 marzo, continua il confronto sui problemi dell’economia europea e, in tale contesto, sulle sfide per quella italiana. Giuseppe Di Taranto
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