martedì 7 giugno 2016
​Siamo tra i pochi Paesi europei in cui gli stranieri hanno un tasso di partecipazione al lavoro superiore a quello dei locali.
Nell'Italia patria degli inattivi gli immigrati lavorano di più
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L’Italia è uno dei pochi paesi europei in cui il tasso di attività degli immigrati supera quello degli altri cittadini. Può sembrare scontato che gli stranieri rispetto agli italiani abbiano più bisogno di trovare rapidamente un lavoro e che quindi vadano ad arricchire, nelle statistiche sull’occupazione, la schiera degli 'attivi', che mette assieme chi ha un’occupazione e chi la sta cercando. In realtà però i dati pubblicati ieri dall’Eurostat mostrano che nella maggioranza dei paesi dell’Unione europea il tasso di attività dei cittadini locali è superiore a quello degli immigrati extra europei: la media è del 77,3% per i primi e del 69,8% per i secondi. Olanda, Finlandia, Germania e Francia sono i paesi in cui questa differenza è più ampia: nel caso di Berlino, per esempio, il tasso di attività dei tedeschi (83%) è superiore di quasi venti punti rispetto a quello degli immigrati non europei (64,7%). Da un punto di vista di integrazione questo è un problema: se gli immigrati, per scelta o per forza, non sono disposti a lavorare e restano fuori dalla vita economica inte- grarli nella società che li ospita diventa molto più complicato. Nel nostro paese questo problema non c’è. L’Italia fa parte di un gruppetto di nove paesi (ci fanno compagnia Grecia, Spagna, Portogallo, Slovenia, Slovacchia, Cipro, Ungheria e Repubblica Ceca) nei quali il rapporto tra locali e stranieri è invertito. Nel nostro paese il tasso di attività degli immigrati non europei è del 72,6%, un dato migliore della media europea (che è al 69,8%) ma non certo esaltante, considerato che siamo decimi nella “classifica” dell’attività degli stranieri. Ma quel 72,6% è sufficiente per consentire agli immigrati in Italia di superare la media nazionale, dato che gli italiani hanno un tasso di attività del 67,9%, che è di gran lunga il più basso dell’intera Unione europea (in nessun altro paese si riscontra un dato inferiore al 70% e siamo di oltre dieci punti sotto la media dell’Ue). Difficilmente, insomma, possiamo usare questi numeri per proporci come esempio di integrazione lavorativa degli stranieri. Restiamo piuttosto un esempio negativo di partecipazione al lavoro in generale e di integrazione lavorativa delle donne in particolare, dato che il tasso di attività femminile (50,4%) è il penultimo d’Europa, migliore solo di quello della piccola Malta. Anche in questo caso le straniere, con il loro 56,4%, superano le italiane. Il tasso di attività, però, non dice tutto: un conto è cercare lavoro, un conto è lavorare davvero. Se si guarda alla disoccupazione i numeri Eurostat mostrano quanto l’integrazione degli stranieri sia difficile per tutti: in Svezia, caso tra i più gravi, il tasso di disoccupazione degli stranieri è del 30,3%, quello degli svedesi del 6,4%. In Germania la disoccupazione dei tedeschi è al 4,1%, quella degli stranieri al 12%. La media europea è una disoccupazione al 19,1% per gli stranieri e dell’8,9% per i locali. L’Italia, dove è senza lavoro il 16,7% degli immigrati e l’11,4% dei 'locali', vista in quest’ottica è quasi un esempio positivo.
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