martedì 24 dicembre 2019
Mobilitazione indetta da Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltucs, con presidi e sit-in davanti i punti vendita e tre manifestazioni nazionali per gli esuberi dell’ex Gruppo Auchan
Nei 150 tavoli di crisi aperti coinvolti quasi 300mila lavoratori
COMMENTA E CONDIVIDI

Centoquarantanove tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo Economico. Alcuni 'storici', per 28 aziende lo stato di allerta dura di più di sette anni, per altre 76 da almeno tre. Realtà che hanno comunicato al governo, per ragioni diverse, l’intenzione di chiudere o ridimensionare la proprie attività in Italia e che coinvolgono complessivamente oltre 200mila lavoratori più almeno 70mila interessanti a ristrutturazioni nelle cosiddette aree di crisi industriale complessa. La mappa evidenzia un’economia sempre in più rapida trasformazione, alle prese con la quarta rivoluzione digitale e le incertezze internazionali, in cui la flessione di un settore, si pensi a quello delle auto diesel, si riflette da un Paese all’altro. L’intervento dello Stato è stato chiesto per i lavoratori di 20 stabilimenti lombardi, 11 in Abruzzo, 10 in Campania e 9 rispettivamente in Lazio, Piemonte e Toscana. Ma è soprattutto il Sud, dove il numero delle vertenze è inferiore ma ha un effetto sul territorio più forte, a pagare maggiormente il peso della crisi. Per i sindacati confederali i lavoratori coinvolti in tutta Italia sono 300mila. L’accusa rivolta al governo è quella di non avere previsto un piano industriale strategico.

A fare notizie sono soprattutto i casi eclatanti che coinvolgono migliaia di lavoratori come per ex Ilva e Alitalia: due vertenze che si trascinano da tempo e che al momento sono ancora in alto mare per via dei continui cambi di rotta. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di aziende colpite da contrazioni di settore o alle prese con un passaggio di proprietà rivelatosi poi sbagliato.

Tra i casi alla ribalta c’è quello della Whirlpool di Napoli, scoppiato a settembre, quando la multinazionale ha comunicato la decisione unilaterale di procedere alla cessione di ramo d’azienda (produzione di lavatrici), con il licenziamento collettivo degli oltre 400 dipendenti. Decisione in parte ritrattata in un secondo momento, in attesa di trovare un partner industriale: a gennaio il ministero convocherà la plenaria del tavolo per scongiurare la chiusura.

Da Napoli a Bari, nello stabilimento della Bosch (dove si producono pompe diesel), che sta scontando la contrazione del mercato di queste automobili. Dopo aver usufruito di tutti gli ammortizzatori sociali, la Bosch ha fatto ricorso al contratto di solidarietà, che scadrà nel giugno 2020. Gli esuberi richiesti sono 624, su complessivi 1.805 addetti.

Sempre al campo dell’automotive, e alla crisi del diesel, si legano le difficoltà della Mahle , multinazionale tedesca della componentistica dell’auto, che ha deciso di cessare la produzione a La Loggia ( Torino) e Saluzzo (Cuneo), avviando la procedura di licenziamento per 453 lavoratori.

Una vicenda che si trascina da tempo è quella del Mercatone Uno, storico brand di arredamento e casalinghi. Dopo il fallimento della Shernon Holding (che aveva rilevato il gruppo lo scorso anno), sono stati nominati i commissari straordinari. I lavoratori coinvolti sono 1.731 di questi soltanto 200 hanno lasciato l’azienda perché hanno trovato un altro lavoro.

Nel campo della grande distribuzione c’è anche la vertenza Conad legata all’acquisizione della rete Auchan, Simply e Sma; massiccia, ieri, l’adesione allo sciopero indetto dai sindacatri di categoria in diverse città d’Italia. Sono più di 3.105 gli addetti da ricollocare. «La mobilitazione, indetta da Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltucs con presidi e sit-in davanti i punti vendita e tre manifestazioni nazionali organizzate a Milano, Ascoli Piceno e Napoli, si è resa necessaria per rafforzare la posizione dei sindacati sulla complessa operazione di acquisizione», spiega in una nota la Fisascat Cisl.

Tra le crisi più datate c’è quella della Blutec di Termini Imerese (Palermo), che risale dall’addio di Fiat allo stabilimento. I dipendenti coinvolti sono 670, per i quali è stata prorogata la cassa integrazione, cui si aggiungono circa 300 dell’indotto.

Restando nel Mezzogiorno, c’è poi il caso del gruppo Dema. L’azienda di aerostrutture e velivoli civili, ha annunciato a ottobre nei quattro siti (Somma Vesuviana, Paulisi e due a Brindisi) 213 esuberi sui 733 dipendenti attuali. Tre anni fa aveva già fatto una ristrutturazione.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: